Non sono i profitti la causa dell'inflazione. La Banca d'Italia smentisce la Bce

Luciano Capone

Per l'Eurotower l'aumento dei prezzi è causato dall'aumento dei margini delle imprese, ma Bankitalia dice che non è così: "In Germania e in Italia l’aumento della quota profitti è associato a una dinamica stazionaria o negativa dei mark up”

Proprio adesso che andava consolidandosi, il dibattito sulle cause e sui motori dell’inflazione nell’Eurozona viene riaperto. Non sono i grandi profitti delle imprese a guidare l’aumento dei prezzi, o meglio, non è affatto dimostrato che sia così. Ad avanzare l’ipotesi, presentandola come suffragata dai dati, era stata la Banca centrale europea. Prima è stato l’italiano Fabio Panetta, in un discorso a marzo a Francoforte, a dire che le imprese stavano aumentando i prezzi oltre l’aumento dei costi energetici: “Potrebbe esserci un aumento dell’inflazione a causa dell’aumento dei profitti”. Poi anche Isabel Schnabel, membro tedesco del board, ha ribadito che “l’elevata pressione inflazionistica può essere dovuta al maggiore potere di mercato delle aziende”.

 

Ma ora a smentire la Bce, o quantomeno a mettere in discussione la sua tesi, è un’analisi della Banca d’Italia. In uno studio, i ricercatori della Banca centrale italiana Fabrizio Colonna, Roberto Torrini ed Eliana Viviano contestano l’interpretazione secondo cui la crescita della quota dei profitti sul valore aggiunto osservata nell’Eurozona sia un indicatore dell’aumento dei margini di profitto delle imprese, della “greedflation” come viene chiamata negli Stati Uniti. “Un incremento della quota dei profitti non può essere interpretato univocamente come un aumento dei margini di profitto delle imprese (mark up), a meno che non siano soddisfatte condizioni molto restrittive sulla combinazione dei fattori nel processo di produzione”, scrivono i ricercatori della Banca d’Italia.

 

Alla base del paper dal titolo “The profit share and firm mark-up: how to interpret them?” c’è un’intuizione banale: dato che i profitti vengono calcolati come differenza tra ricavi e costi (il cosiddetto margine operativo lordo), se in caso di aumento dei costi energetici l’impresa riesce a mantenere lo stesso mark up, a parità di volumi venduti vedrà aumentare anche il margine operativo lordo. L’impresa ha così trasferito l’aumento dei costi sul prezzo finale, ma non ha aumentato i suoi margini di profitto rispetto al fatturato: l’aumento della quota dei profitti rispetto al valore aggiunto – il dato considerato dalla Bce – sarà quindi una conseguenza dell’inflazione, cioè dell’aumento dei costi intermedi, ma non la sua causa. “La quota dei profitti sul valore aggiunto può aumentare, anche se i mark up rimangono costanti o si riducono, quando il prezzo degli input intermedi cresce più rapidamente del costo del lavoro e i due fattori presentano una sostituibilità limitata”, scrivono i ricercatori della Banca d’Italia. Quindi, dal punto di vista teorico, l’aumento della quota profitti sul pil può avvenire meccanicamente, anche se le imprese non cambiano strategia di prezzo e, anzi, perfino se riducono leggermente i margini.

 

Ma dal punto di vista pratico cos’è successo in Europa? La definizione non è semplice, ma i ricercatori della Banca d’Italia attraverso alcuni dati disponibili in Italia e in Germania, grazie agli istituti statistici Istat e Destatis, sono riusciti a stimare i mark up in vari settori: industria (compresa l’energia); manifatturiero, costruzioni, commercio-trasporti. “Le evidenze disponibili – è la conclusione – mostrano che nel 2022 in molti settori, sia in Germania sia in Italia, l’aumento della quota profitti si è in effetti associato a una dinamica stazionaria o negativa dei mark up”. Nello specifico, in Germania si è registrato un aumento dei ricarichi solo in qualche settore non aperto alla concorrenza; mentre in Italia a fine 2022 i mark up in tutti i settori erano tornati ai livelli pre pandemia. Situazione completamente diversa negli Stati Uniti dove – mostrano Colonna, Torrini e Viviano – le imprese hanno registrato un aumento dei margini di profitto in quasi tutti i settori già subito dopo la pandemia. Insomma, l’inflazione americana e quella europea hanno cause e dinamiche differenti.

 

Sembra una discussione teorica, ma capire l’origine dell’inflazione ha implicazioni politiche molto concrete. Si pensi, ad esempio, sul lato fiscale all’invocazione di ulteriori tassazioni sugli “extraprofitti” non solo per redistribuire risorse ma anche per contenere l’inflazione. Analoghe considerazioni si possono fare per la politica monetaria. Lo studio della Banca d’Italia, di cui si discuterà molto, è un avviso ai policy makers a fare buone diagnosi prima di prescrivere le cure.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali