Quotarsi fa bene

L'attenzione dei mercati per le nomine delle partecipate è una lezione anche per la Rai

Luciano Capone

Nelle scelte riguardanti società quotate come Eni, Poste o Enel, dove oggi è stato votato Flavio Cattaneo ad e Paolo Scaroni presidente, la politica deve per forza tenere conto degli investitori e degli osservatori nazionali e internazionali: una garanzia per le opposizioni e per i contribuenti

Per qualche settimana abbiamo assistito alla scena di forze anti-mercato e movimenti ambientalisti che confidavano nel successo  degli “speculatori internazionali” per bloccare le scelte del governo su un’azienda di stato. Alla fine l’operazione non è riuscita. Nell’assemblea di Enel la lista del Tesoro ha ottenuto il 49,1 per cento, quella di Assogestioni il 43,5 per cento e quella appoggiata dal fondo Covalis, che puntava a fermare la nomina a presidente di Paolo Scaroni candidando Marco Mazzucchelli, solo il 6,9 per cento, senza riuscire a eleggere consiglieri.


Il blitz è fallito: la lista del governo è stata approvata con Flavio Cattaneo amministratore delegato e Scaroni presidente, eletto con il 97,2 per cento dei voti. Il governo può tirare un sospiro di sollievo, ma ha dovuto convincere gli azionisti della bontà della scelta del nome di Scaroni, su cui si concentrava lo scetticismo degli investitori esteri, in quanto ritenuto nel suo passato di manager di stato troppo vicino alla Russia, artefice della dipendenza energetica  da Mosca, troppo legato al fossile e ostile alla transizione energetica di cui Enel è protagonista.

 

A prescindere dall’esito della scelta fatta dagli azionisti, che è insindacabile e sarà poi giudicata in Borsa e dai bilanci, è fondamentale notare la differenza rispetto agli altri processi di nomine in corso in altre agenzie pubbliche o aziende di stato, come la Rai. E’ evidente, nelle società partecipate quotate, il ruolo riequilibratore del mercato rispetto alle decisioni della politica. Nella nomina dei vertici di società quotate come Eni, Enel, Leonardo, Mps o  Poste il governo deve per forza tenere conto degli investitori e degli osservatori nazionali e internazionali: può decidere di assecondarli, come ad esempio nel caso delle riconferme di manager come Claudio Descalzi o Matteo Del Fante, oppure di sfidarli come nel caso di Scaroni. Ma non può pensare di ignorarli e usare le aziende come un poltronificio da occupare secondo logiche spartitorie. Che è esattamente ciò che sta accadendo, come è sempre accaduto, in aziende interamente controllate dal governo come la Rai.

 

Un esempio pratico spiega la differenza: quando la Lega aveva proposto per la presidenza dell’Eni un personaggio  come il deputato No euro Antonio Maria Rinaldi, agli scettici i leghisti rispondevano che anche per la nomina di Marcello Foa alla Rai si diceva che sarebbe stata impossibile e invece poi accadde davvero. Stavolta non è accaduto. E non perché la Lega abbia acquisito raziocinio, ma perché l’Eni è in parte privatizzata e la Rai no. Vuol dire che la politica non ha un potere assoluto, e questo è una garanzia anche per le opposizioni e per i contribuenti. Perché alla fine il governo  riesce comunque a nominare Scaroni presidente dell’Enel, ma sicuramente non personaggi come Rinaldi o Foa.

 


 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali