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crisi energetica

No, sul gas non andrà tutto bene. Parla Paolo Scaroni

Claudio Cerasa

Il price cap sfumato. L’europeismo ammaccato. Il caro energia che resterà e gli errori da non ripetere per governare una rivoluzione vera (la Germania è  un alibi). Orientarsi nel mondo che cambia. Chiacchierato con l'ex amministratore delegato di Enel e Eni

"Voi del Foglio mi sembrate un po’ troppo ottimisti”, dice Paolo Scaroni (già amministratore delegato di Enel, già amministratore delegato di Eni, oggi tra le molte cose anche presidente del Milan). Ribattiamo: dice sul governo Meloni? “No, sul governo del gas”. Nel senso che dovremmo essere più pessimisti? “Nel senso che sarebbe il caso di capire come siamo arrivati fin qui, cosa abbiamo fatto per evitare quello che sta succedendo, cosa possiamo fare per non aggravare ulteriormente i problemi che abbiamo”. E’ pessimista su quello che è stato fatto finora o su quello che potrebbe capitare da ora in poi? “Sono realista. Se mi dedica qualche minuto uniamo qualche puntino e proviamo a ragionare sul futuro”. Prego. “Il punto in cui ci troviamo oggi è purtroppo facile da inquadrare. Il famoso price cap a livello europeo è chiaro che non ci sarà e la colpa non è della Germania, che ha fatto quello che avrebbe fatto qualsiasi paese in difficoltà poco indebitato, cioè usare il suo debito per risolvere problemi nell’immediato, ma la colpa è di chi non è riuscito a capire con anticipo quello che inevitabilmente sarebbe successo”. Sta criticando le sanzioni? “Sto criticando chi, avendo fatto le sanzioni, non si è preoccupato di prevenire conseguenze prevedibilissime”.

 

In sintesi? “In sintesi dico. Giusto difendere l’Ucraina. Giusto proteggere la democrazia liberale. Giusto proteggere l’Europa. Giusto seguire le indicazioni della Nato. Ma è sbagliato non aver pensato, con anticipo, quello che sarebbe successo sanzionando la Russia. E quello che è successo è evidente. La Russia vive di gas, si nutre di gas, si alimenta di gas e non poteva non reagire alle sanzioni, giuste, facendo tutto ciò che era nel suo potere per metterci in difficoltà. Non bloccando l’esportazione della vodka ma usando ogni leva possibile per metterci in ginocchio con il gas”.

 

E noi dove abbiamo sbagliato? “Abbiamo sbagliato, in sede Nato, a non costruire un patto, con tutti i paesi Nato, finalizzato a raggiungere uno scopo preciso. Noi, insieme, diamo una mano all’Ucraina, per difendersi, come è giusto che sia, ma nessun paese Nato deve arricchirsi in questa situazione”. Si riferisce a? “Penso a paesi che hanno tratto giovamento dall’aumento dei prezzi del gas, anche sul Gnl, come Stati Uniti e Canada, ma penso soprattutto e direi prima di ogni altra cosa alla Norvegia, che esporta ogni anno 120 miliardi di metri cubi di gas, in Europa, e che oggi, mentre noi soffriamo per le bollette, incassa sei volte in più rispetto a quello che incassava un anno fa”. E’ il mercato. “No: è la non lungimiranza”. Di chi? “Della classe politica europea che ha scelto di non fare quello che avrebbe dovuto fare: non occuparsi del price cap dopo, ma occuparsi del price cap prima, prima del problema, legando il sostegno al pacchetto delle sanzioni al sostegno delle nostre economie. A lei sembra normale? A me sembra sbagliato non aver detto, in sede Nato, guardate: noi diamo tutto il sostegno possibile all’Ucraina, ma prima ci dite anche come si spartiscono i mali e i beni”.

 

La democrazia si difende solo se non crea problemi alla nostra economia? “Non mi faccia dire quello che non penso. Essere atlantici significa tutelare i paesi che fanno parte del Patto atlantico. Non credo sia un’eresia dire che la tutela deve essere doppia. La tutela militare. E la tutela delle nostre economie in tempi di guerra. A meno di non voler considerare la tutela degli interessi nazionali come un lato secondario della difesa della democrazia”. E’ anche vero che oggi, se non fosse per la Germania, ci sarebbe un price cap sul gas e avere un price cap sul gas permetterebbe di avere bollette più basse. Per tutti. Anche per i tedeschi. “Dovevano essere i paesi europei più esposti a occuparsi del problema, non la Germania che alcuni problemi può risolverseli anche da sola”. E ora? “Ora siamo nei guai fino al collo. E non sono sicuro che un eventuale price cap, tra l’altro, sia una soluzione che può cambiare le carte in tavola. Immaginate: noi diciamo che il gas liquido, per esempio, non può essere pagato più di 100 euro a Megawattora, poi in Giappone ne offrono 110. Secondo voi il mercato offre Gnl a chi paga di più o a chi paga di meno?”. E quindi? “E quindi l’unico cap che avrebbe un senso è sul gas via tubo, applicato a quei paesi, come la Norvegia, come l’Algeria, come l’Azerbaigian, in teoria anche la Libia, che purtroppo esporta sempre meno, che il gas non possono che esportarlo da noi”.

 

E la Russia? “Ovvio, anche la Russia, ma il problema mi sembra che lì si stia risolvendo da sé. Da luglio, la Russia invia sempre meno gas all’Europa, in prospettiva il gas russo si azzererà e mettergli un tetto mi sembra irrilevante”.

 

Presente, passato, futuro. Come si risolve oggi il problema del caro bollette. “Direttore, so che lei è ottimista, ma anche qui temo non ci sia molto ottimismo da maneggiare”. Ci spieghi. “Ci sono due aspetti per capire cosa sta succedendo e cosa succederà. Il primo aspetto riguarda un fattore strutturale, con cui dovremo adattarci. La Russia, per l’Italia, per l’Europa, è stata a lungo ciò che il Texas ha rappresentato e rappresenta oggi per gli Stati Uniti: un fornitore di energia e di materie prime a basso costo, facilmente raggiungibile, facilmente collegabile, e con questo sistema l’Europa ha trovato una sua forma di equilibrio. La Russia ci riforniva energia a prezzi bassi, che era quello di cui avevamo bisogno, e l’Europa offriva alla Russia quello che di cui avevano bisogno, ovvero tecnologia, innovazione. Oggi siamo di fronte a una trasformazione epocale, doverosa ci mancherebbe, ma non sono sicuro che saremo in grado di vivere, a livello energetico, come abbiamo vissuto finora. Ci saranno cambiamenti strutturali nei prossimi anni. Cambieranno i consumi delle famiglie, che per pagare bollette più basse dovranno ridurre i consumi energetici. Cambierà la geografia della distribuzione delle grandi imprese energivore, che è verosimile andranno fuori dall’Europa se il caro energia, come temo, resterà ancora a lungo con noi. Cambierà, poi, anche il costo strutturale dell’energia che avremo, perché per quanto gas in più riusciremo a importare e per quante rinnovabili in più riusciremo ad avere non riusciremo mai a sostituire i 29 miliardi di metri cubi di gas russo con altro gas via tubo, e facciamo finta ovviamente di non ricordarci che il gas che arriva da paesi come l’Azerbaigian arriva seguendo logiche politiche non estranee dalle volontà russe. Insomma, quel che succederà mi pare evidente. Importeremo gas liquefatto e i costi di trasformazione molto alti di quel gas liquefatto andranno a ricadere sulle bollette”. Per quanto  tempo? “Per molto tempo. Finirà, temo, che il consumatore europeo pagherà la bolletta, elettrica e del gas, il doppio o il triplo del consumatore americano. Ci sarebbero alternative, ovviamente, ma sono alternative molto costose, anche politicamente, se si pensa che l’unico paese vicino che potrebbe un giorno fornirci gli stessi quantitativi di gas che arrivavano fino a qualche tempo fa dalla Russia è l’Iran. E ho detto tutto”. Un disastro! “Bisogna essere pragmatici per risolvere i problemi e se i problemi si nascondono sotto il tappeto non riusciremo a risolverli quando si ripresenteranno. Sconsiglierei, per esempio, di non capire che la governance dell’Europa, per come è fatta, purtroppo non funziona come dovrebbe, e in situazioni come quelle di oggi, in cui si affronta tutto con lentezza, senza visione complessiva, non ci si può stupire se gli stati seguano vie nazionali per la risoluzione dei problemi”. E in mancanza di una svolta strutturale europea un paese come l’Italia cosa potrebbe fare? “Obiettivo numero uno: lavorare come dei pazzi per intervenire sul prezzo del gas norvegese. E chiedere una mano a livello Nato, agli Stati Uniti, per evitare che l’Europa sia l’unico continente a pagare il prezzo della sacrosanta difesa dell’Ucraina”. Più soluzioni nazionali, però, di solito significa più debito. “Per un paese come la Germania, che ha un debito basso, ha un senso. Per un paese che ha un debito alto come l’Italia rischia di essere pericoloso. E il rischio sarebbe quello di ritrovarsi in una situazione simile a quella inglese, ma senza gli strumenti che ha l’Inghilterra per tamponare le delusioni dei mercati. Non voglio essere catastrofista, direttore, voglio solo dire che per adattarci a un nuovo mondo dobbiamo capire che errori abbiamo commesso, capire che errori stiamo commettendo, capire quali sono le soluzioni che ci servono. L’Italia ce la farà, come sempre, ma oggi siamo nei guai fino al collo e capire cosa si sbaglia è l’unico modo per evitare di sbagliare ancora”.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.