Foto di Caroline Blumberg, via Ansa 

L'insolazione siciliana

Schifani sbaglia a bloccare il fotovoltaico in Sicilia, ma qualche problema c'è

Carlo Stagnaro

Il presidente della regione ha annunicato una moratoria sulle autorizzazioni per i nuovi impianti. Ma bisogna guardare la luna (cioè le rinnovabili) e non il dito

Il presidente della regione Sicilia, Renato Schifani, ha annunciato una moratoria sulle autorizzazioni a nuovi impianti fotovoltaici. La ragione: il boom delle richieste di connessione (oltre 36 GW secondo la piattaforma di Terna) rischia di lasciare un’impronta eccessiva sul territorio e con scarsi impatti occupazionali. I circa 1,8 GW esistenti occupano a terra circa 1.200 ettari. L’obiettivo di Schifani è rivendicare una sorta di compartecipazione ai ricavi delle imprese, in modo da poter costruire un meccanismo di sconto sui prezzi dell’energia analogo a quanto fatto dalla Basilicata con il gas. 

In più, l’inquilino di Palazzo dei Normanni lamenta che la Sicilia è già un’esportatrice netta di energia: una situazione comune ad altre regioni meridionali, e che infatti vede schierati su posizioni analoghe i governatori della Calabria Roberto Occhiuto e della Puglia Michele Emiliano. Si tratta di richieste accettabili?

Prima di rispondere è bene partire da una considerazione di metodo: il blocco delle autorizzazioni, nel paese dove le carte non bastano mai, non dovrebbe essere neppure preso in considerazione. Tra l’altro, nel passato varie regioni hanno disposto moratorie simili, puntualmente cadute sotto il machete della Corte costituzionale. Raggiungere gli obiettivi europei al 2030 sarà già complicatissimo, senza bisogno di aggiungere lungaggini straordinarie a quelle ordinarie. 

Anche nel merito c’è da ridire. È vero che la Sicilia esporta energia elettrica (e altro: dai carburanti alle arance). Contemporaneamente, è importatrice netta di prodotti altrettanto importanti, dal latte alle piastrelle. Eppure, ai siciliani suonerebbe ben strano se i governatori della Lombardia o dell’Emilia chiedessero un obolo per le vacche o gli stabilimenti industriali. Inoltre, il sistema elettrico va visto nella sua interezza: se bisogna risarcire i siciliani per i pannelli, perché non anche i calabresi per gli elettrodotti? E perché non i residenti in altre aree del paese per gli impianti convenzionali necessari a bilanciare la rete per compensare l’intermittenza delle rinnovabili?

D’altronde, Schifani si appiglia retoricamente a due argomenti – l’autosufficienza di un singolo territorio e lo scarso lascito occupazionale – che spesso sono stati gli stessi supporter delle rinnovabili a sollevare, alimentando un dibattito pubblico strabico. Per esempio, Elettricità Futura parla di 540 mila occupati nelle rinnovabili: ma come è possibile, visto che attualmente gli addetti all’intero settore energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata sono 80 mila? E in quale modo può essere un vantaggio il fatto che, a parità di energia prodotta, si moltiplica la manodopera?

In questo contesto, comunque, Schifani pone una questione reale, legata allo sviluppo disordinato delle rinnovabili. I pannelli fotovoltaici (e anche le pale eoliche) si trovano soprattutto nel Mezzogiorno perché le risorse primarie, sole e vento, lì sono più abbondanti. Tuttavia, i carichi sono principalmente al nord, specie a causa della presenza di importanti poli industriali. Non è sbagliato, dunque, porsi il problema della loro distribuzione territoriale. Non si tratta di una questione di rivendicazioni tra nord e sud ma di evitare una situazione in cui l’energia viene generata dove non serve, e manca dove ce n’è bisogno (a causa dei vincoli di rete). Né si può pensare di sovrainvestire nelle reti per trasportare quantità enormi di energia per centinaia di chilometri. 

La domanda di picco in Sicilia è di circa 4 GW; a questi si aggiungono (a tendere) non più di 4 GW di capacità di esportazione, contando i cavi esistenti e quelli progettati. Anche ipotizzando che una parte della produzione in eccesso sia impiegata per fare idrogeno verde, è evidente che sull’isola non vi è “spazio elettrico” sufficiente a ospitare tutti gli impianti proposti. Mentre essi sarebbero più utili in zone dove magari c’è meno sole, ma con una maggiore domanda. Dovremmo, allora, chiederci come incoraggiare le imprese a canalizzare gli investimenti nei luoghi più appropriati.

Spesso le politiche di supporto danno un incentivo sbagliato: per esempio la garanzia di prezzi fissi per la vendita dell’energia spinge gli operatori a localizzare i pannelli dove è massima la produzione, e non dove è massima l’utilità per il sistema. La sortita di Schifani in questo senso è utile non per quello che chiede, cioè in ultima analisi soldi, ma per il problema che pone. La grande questione su cui non c’è tempo da perdere sta nelle modalità di sviluppo di un settore che nei prossimi anni dovrà mobilitare decine di miliardi di euro di investimenti.

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