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indagine

Con la crisi del gas aumenta la richiesta di fotovoltaico (e l'attesa per farlo funzionare)

Maria Carla Sicilia

Nei primi sei mesi dell'anno le richieste di installazione sono state pari a 4,5 GW, ma nello stesso periodo solo 1 GW è entrato in esercizio. La via crucis tra Superbonus, liste d'attesa, veti ideologici e soprintendenze 

Ci sono tre numeri che descrivono la distanza che c’è tra chi investe nel fotovoltaico e l’effettiva capacità amministrativa di consentirne l’uso e la produzione. Tutti e tre prendono come riferimento i primi sei mesi dell’anno, cioè il periodo in cui i prezzi del gas hanno iniziato la loro impennata e il governo italiano si è affannato per cercare soluzioni che consentissero di utilizzare meno metano. Il primo numero è 4,5 GW e riguarda le richieste di installazione di impianti fotovoltaici. L’altro è 1,8 GW e dà la misura di quelli autorizzati. Il terzo è 1 GW e si riferisce all’effettiva entrata in esercizio.

 

Dietro questi numeri (diffusi dalla società di consulenza elemens e dal gestore della rete Terna) ci sono investimenti congelati anche di imprenditori che hanno cercato delle soluzioni per affrontare l’aumento dei prezzi in bolletta. Aziende che attraverso l’autoproduzione o accordi diretti con i produttori vorrebbero cambiare il modo in cui consumano energia e spendere di meno. Da Sassari a Brescia, da Ferrara a Bergamo, le cronache locali sono piene di testimonianze: “Se l’impianto fotovoltaico fosse stato in funzione da inizio anno – dice al Corriere il presidente di una fondazione a cui fa capo una Rsa nel bergamasco – avremmo risparmiato 15 mila euro”. 

 

“Riceviamo tante comunicazioni da parte dei nostri soci che hanno impianti realizzati in attesa di connessione finale, alcuni anche da sei mesi”, dice al Foglio Paolo Rocco Viscontini, presidente dell’associazione Italia Solare. I motivi? “Una parte dei ritardi è dovuta al sovraccarico di lavoro. Il Superbonus ha portato un grandissimo numero di richieste e realizzazioni”. Ma il nodo riguarda anche l’organizzazione dei soggetti che entrano in scena in questa fase, cioè le società che gestiscono la distribuzione dell’energia a livello locale. “Parlando con alcune di queste, emerge anche una difficoltà a reperire personale per evadere le richieste, visto che si tratta di squadre di tecnici da mandare sul territorio per eseguire i collaudi”, dice Viscontini.

 

L’allaccio alla rete, tuttavia, è solo l’ultimo dei numerosi passaggi da affrontare fuori dalle procedure semplificate. Gli ostacoli aumentano infatti quando si tratta di impianti a terra o più potenti di 10 MW. In questi casi non ci sono iter rapidi ma serve una valutazione d’impatto ambientale. E qui arriva il bello. “Il problema è che tutte le volte che c’è bisogno di fare un intervento che passa da un’area anche solo vicina a zone paesaggisticamente tutelate deve essere coinvolto il ministero della Cultura”, spiega Emilio Sani, consigliere di Italia Solare e responsabile del gruppo di lavoro legislativo. “Succede quindi che in tantissimi casi, se non nella maggioranza, il ministero dia un parere negativo. Questo impedisce al procedimento di andare avanti. A meno che non intervenga la presidenza del Consiglio”. L’ultimo esempio è di mercoledì, quando il Cdm presieduto da Mario Draghi ha dato il via libera a un impianto agri-fotovoltaico da 60 MW in provincia di Lecce, insieme ad altri diversi impianti rinnovabili per un totale di 314 MW. Una pratica insostenibile in una fase di crisi come quella che stiamo vivendo, dicono gli addetti ai lavori. “Limitare i poteri di veto del ministero della Cultura solo ai casi in cui l’interesse paesaggistico è molto alto dovrebbe essere una priorità del prossimo governo”, suggerisce Sani. Ma non dovrebbe essere l’unica. L’altra è pubblicare il decreto che fissa i criteri con cui le regioni devono individuare le aree idonee ad accogliere impianti rinnovabili. Perché proprio con questo provvedimento si potrebbe ridurre il secondo grande ostacolo che si incontra nel percorso di autorizzazione. “C’è una forte disparità da parte delle regioni nella valutazione delle medesime tipologie di impianti. Questo porta a una distribuzione non omogenea sul territorio e crea liste di attesa che in alcuni casi raggiungono tempi di tre o quattro anni”. Ma qui non si tratta solamente di ritardi solo burocratici. “Alcune regioni hanno posizioni ideologicamente contrarie all’installazione di impianti in area agricola”, sostiene Sani. Eppure, precisa Viscontini, basterebbe l’1,25 per cento delle aree non coltivate per fare tutto il fotovoltaico che serve a raggiungere gli obiettivi previsti dal Piano nazionale integrato energia e clima. Tenendo conto di un dato: secondo Italia Solare, ogni 4 GW di fotovoltaico si risparmia circa un miliardo di metri cubi di gas, oro di questi tempi.

  • Maria Carla Sicilia
  • Nata a Cosenza nel 1988, vive a Roma da più di dieci anni. Ogni anno pensa che andrà via dalla città delle buche e del Colosseo, ma finora ha sempre trovato buoni motivi per restare. Uno di questi è il Foglio, dove ha iniziato a lavorare nel 2017. Oggi si occupa del coordinamento del Foglio.it.