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Storia di un successo

Il boom di Lego: vendite e guadagni non si fermano

Stefano Cingolani

Non solo mattoncini colorati: vanno forte anche app per smartphone e videogiochi. Nel 2022 i ricavi della società erano pari a 8,59 miliardi di euro, ora la grande sfida è investire nel metaverso

Questa storia comincia con “c’era una volta”. Beh, parlando di giocattoli è un incipit banale. Ma attenti a chiamarli giocattoli perché i Lego sono molto di più. Con tutto il rispetto per la Barbie, la loro grande avversaria, quei mattoncini di plastica coloratissimi stanno facendo un salto nel futuro, sì, fin dentro il metaverso. Una scelta che premia il gruppo danese: vendite e guadagni non si fermano, l’anno scorso i ricavi sono arrivati a 8,59 miliardi di euro (+17 per cento) e i profitti sfiorano i due miliardi (esattamente 1,85 miliardi +4 per cento). Mattel, la madre americana di Barbie e Ken, è lontana di almeno tre miliardi con utili di appena 383 milioni di dollari, in caduta rispetto all’anno prima. E’ rimasta indietro anche la Hasbro, quella del Monopoli e delle pistole Nerf.

 

Dunque, c’era una volta un falegname, non si chiamava Geppetto ma Ole Kirk Christiansen, viveva a Billund, cittadina di seimila anime nel centro dello Jutland, la penisola che collega la Danimarca alla Germania, e non avrebbe mai immaginato di diventare il numero uno al mondo quando nel 1932 cominciò a fabbricare trenini e camion di legno, salvadanai, yo-yo che gli diedero un breve periodo di prosperità e fama sia pur locale. Il nome Lego lo inventò due anni dopo, manipolando l’espressione “leg godt”, gioca bene, finché suo figlio Godfredt che si era messo sulle orme paterne, non si accorse che lego in latino vuol dire molte cose come raccogliere, mettere insieme, oltre che leggere e studiare. La didattica, anzi la pedagogia è dunque una vocazione o magari solo una di quelle leggende che s’accompagnano al successo arrivato grazie al triacetato di cellulosa che non deriva dal petrolio, ma dalla polpa di legno o dai cascami del cotone. Dunque, pur essendo una manipolazione della materia, oggi possiamo dire che sia ecologicamente corretto. Ma non a questo pensavano i Christiansen padre e figlio nel 1947 quando fabbricarono i primi esemplari. Poi arrivò l’innovazione dovuta a imitazione. I lego prima della Lego erano inglesi, inventati negli anni 40 da Harry Fisher Page, il quale fabbricò cubetti di plastica facili da assemblare con il sistema che verrà poi perfezionato dai Christiansen. L’azienda di Fisher, la Kiddicraft, non ha avuto lo stesso successo, ma non fu facile nemmeno per la nuova arrivata danese. I primi mattoncini erano elementari, poco duttili, troppo difficile tenerli insieme e diritti. Ai venditori di giocattoli non piaceva tutta quella plastica, nociva per i bambini.

 

Ci sono voluti una decina di anni, poi Godfredt, ormai al timone, ha migliorato il prodotto introducendo un piccolo cilindro, un supporto che dà stabilità ai pezzi e favorisce il loro assemblaggio. La Lego era ancora piccola, meno di 500 dipendenti, ma gli anni Sessanta aprono nuovi orizzonti. I baby boomer ne sono conquistati e li trasmetteranno ai loro figli: è un gioco attivo, una ginnastica mentale prima ancora che manuale, è la risposta europea al mondo ludico americano, è meglio dei cartoni animati, più sano di spade, pistole e fucili a turacciolo.  Insomma, le motivazioni ideologiche non mancano e accompagnano un percorso che attraversa ormai tre generazioni, per la quarta si apre una nuova prospettiva.

 

Il mitico 1968 a Billund venne celebrato dall’apertura di Legoland con città in miniatura costruite solo con quei pezzettini di triacetato di cellulosa. Quell’anno furono venduti 18 milioni di confezioni, 600 mila persone visitarono il parco, poi la media s’è stabilizzata attorno a un milione l’anno. La Lego resta un’azienda familiare, Godtfred lascia le redini al figlio Kjeld Kirk Kristiansen (la K sembra sia stata un errore di trascrizione sull’atto di nascita) che ha studiato nelle scuole di business in Svizzera e a Copenaghen. Di successo in successo, mattoncino dopo mattoncino (i più grandi set sono il Titanic con 9.090 pezzi, il Colosseo con 9.036, il Millennium Falcon con 7.541 seguito dal Taj Mahal), arrivano i millennial, gente difficile che sembra avere tutto e non amare niente. La prima seria débacle è del 2003 quando il bilancio chiude con una perdita equivalente a 188 milioni di euro. Kjeld che si era ritirato dietro le quinte lasciando la gestione a Poul Plougmann, torna in campo, riprende le redini, licenzia un migliaio di dipendenti. Non basta. L’anno successivo il buco è ancora più largo, Kjeld apre il borsellino e versa 140 milioni di euro per ricapitalizzare la società, vengono introdotti nuovi colori, si prende spunto dai personaggi più popolari, Spiderman, gli eroi di “Star Wars”, “Harry Potter”. I castelli medievali che splendevano un tempo restano, ma protagonista è sempre più il futuro. La cura ricostituente e ringiovanente funziona. Lego prende dal cinema ed entra nel cinema, assorbe i videogiochi, deve confrontarsi con la concorrenza e gli imitatori perché il brevetto è scaduto nel 1988, si internazionalizza a cominciare dagli Stati Uniti, e gestisce direttamente la distribuzione: nel 2002 apre il primo negozio monomarca a Colonia; in Italia arriva nel 2016 ad Arese e a Torino nel 2017, un altro periodo difficile segnato da altri 1.400 licenziamenti. Poi comincia un nuovo slancio che riporta in testa la Lego. 

 

Già una decina di anni fa la Lego ha sorpassato la Mattel e da allora è tutto un testa a testa per la leadership. Adesso il gruppo danese ha preso il sopravvento. Malgrado un mercato iper concorrenziale (Lego ha appena il 3 per cento, Mattel il 2) che negli Stati Uniti ha fatto cadere anche l’iconica Toy R Us, nonostante la pandemia, la crisi della catena di approvvigionamento, l’impennata dell’inflazione, la Lego ha superato anche la rivale Habro che aveva tentato di espandersi scalando (senza successo) la Mattel. Il crescente divario con i rivali si deve alla capacità di raggiungere mercati vergini, come la Cina, coinvolgere nuove generazioni con film e videogiochi, e sfruttare il fascino di altri marchi popolari. L’altra mossa azzeccata è l’apertura di un maggior numero di negozi propri e di fabbriche vicine ai mercati finali, che hanno permesso di evitare, in larga misura, gli ingorghi nelle supply chains. L’anno scorso hanno sfondato prodotti come l’app per smartphone Lego Builder e il videogioco Lego Star Wars: La Saga degli Skywalker. Le attività digitali hanno ancora come obiettivo principale avvicinare i bambini all’esperienza Lego e incoraggiarli ad acquistare i giocattoli fisici, ha dichiarato Niels Christiansen. L’amministratore delegato, nel celebrare gli ottimi risultati del 2022, ha ammesso che quest’anno la crescita dei ricavi rallenterà, anche se resta superiore alla media del settore, tuttavia la Lego continua ad accelerare gli investimenti nelle iniziative strategiche, a cominciare dal metaverso. 

 

È la nuova scommessa dell’azienda che ha deciso di investire, attraverso la holding di famiglia chiamata Kirkbi, un miliardo di dollari nell’americana Epic Games, nota soprattutto per lo sviluppo del motore di gioco Unreal Engine, del negozio digitale Epic Games Store e del popolarissimo gioco multipiattaforma Fortnite. Un altro miliardo verrà dalla Sony e i tre gruppi vogliono costruire un nuovo metaverso che sfrutti l’ampia base d’utenti portata in dote dalla software house statunitense. I giocattoli in un mondo sempre più smaterializzato e high tech avranno vita breve se non entreranno fino in fondo nella transizione digitale. Lego ha sviluppato, in sinergia con la giapponese Nintendo, una linea dedicata a Super Mario: il popolarissimo eroe dei videogame è stato trasformato in mattoncino “intelligente”, dotato di sensori che gli permettono di dialogare con lo scenario e altri personaggi, con tanto di memoria per tenere conto dei punteggi. La sfida del metaverso a forte proiezione pedagogica è ancora più complessa, tocca a Tim Sweezy il fondatore di Epic Games sviluppare la tecnologia che verrà poi riempita di contenuti da Lego e Sony. Un matrimonio tra reale e virtuale, giocattoli che si tengono in mano e una dimensione in cui divertimento, apprendimento, allenamento fisico e mentale si fondono. Un metaverso a misura di bambino? O del “fanciullino” pascoliano che è in tutti noi.

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