Paolo Scaroni (Ansa)

Parla l'ex ad di Eni

Scaroni ci dice come l'Italia può capovolgere la mappa del gas

Annalisa Chirico

“L’Africa del nord è il modo per non aprire un’altra dipendenza dal gnl americano”, ci dice l’ex ad di Eni. E sulla possibilità di fare a meno della Russia, conferma la previsione per l'inverno 2024-2025

“Di fronte alla crisi energetica l’Italia dispone di uno strumento che nessun altro paese può vantare: Eni. Che è anche la nostra arma vincente in Africa”, parla così al Foglio Paolo Scaroni, deputy chairman di Rothschild & Co., già alla guida dei colossi italiani Eni ed Enel. “La nostra azienda petrolifera è il primo operatore degli idrocarburi nel continente africano. La Germania non ha una Eni tedesca, né l’Austria o la Repubblica ceca. Noi abbiamo una carta vincente che è ancora più rilevante se consideriamo la nostra collocazione geografica, nel mezzo del Mediterraneo, con una rete di pipeline che già oggi collegano l’Europa con il Nord Africa”.

 

Nel corso della visita ad Algeri, la premier Giorgia Meloni ha rilanciato il Piano Mattei per fare dell’Italia l’hub energetico europeo. “È un’ottima idea, il governo si sta muovendo bene. Se oggi l’Algeria dispone di gas, è merito di Eni che a partire dal 2015 ha effettuato scoperte importanti in quel paese. Queste scoperte hanno arricchito le riserve nazionali algerine: oggigiorno l’Algeria esporta più gas perché ha più gas. L’idea che l’Italia diventi una mega pipeline in grado di rifornire tutta l’Europa è realizzabile a patto che si potenzino la produzione algerina di gas e il sistema di tubature che collegano il paese africano alla Sicilia. Dalla Russia noi europei importavamo centocinquanta miliardi di metri cubi di gas all’anno, l’Algeria ce ne fornisce venti che da soli non bastano a coprire l’intero fabbisogno italiano. Perciò la produzione algerina va aumentata, le pipeline della linea adriatica vanno raddoppiate, servono infrastrutture. In questo modo si potrebbe ribaltare quello che è stato, fino a oggi, il modello di trasporto: non più dalla Norvegia e dalla Russia verso il sud, ma dal sud, dal Mediterraneo, verso il nord Europa. Inoltre, l’Italia gode di un vantaggio specifico: i tubi esistono già e il gas africano è meno costoso di quello liquefatto proveniente da Stati Uniti e Qatar. Il gnl, oltre che comportare costi maggiori per trasporto e rigassificazione, è intrinsecamente meno concorrenziale. Il gas liquido può andare ovunque mentre il gas via tubo connette indissolubilmente fornitore e cliente”.

 

Insomma, il Piano Mattei le piace. “Il governo ha goduto di due fortune: le temperature elevate di quest’inverno che hanno ridotto i consumi stagionali di gas e che hanno evitato razionamenti, e la presenza massiccia di Eni in Africa. Sa, sia io che l’ad Claudio Descalzi siamo, in un certo senso, figli di Enrico Mattei. Il rapporto con l’Algeria e con la Libia viene da lontano. Ad Algeri Mattei e l’Eni sono visti ancora oggi come protagonisti del processo di emancipazione del paese dal colonialismo francese per via del sostegno fornito, negli anni Cinquanta, al Fronte di liberazione nazionale. Oggi l’Italia può contare su un Eni super africano che ha maturato rapporti con l’Africa come nessun’altra compagnia petrolifera al mondo con presenza nel settore del gas in Angola, Congo e Mozambico che, liquefatto, verrà in Italia.  È un atout solo italiano”. In Libia però la situazione è più complessa, nonostante l’accordo sul gas firmato sabato scorso a Tripoli da Eni e Noc. “In Libia tutti sono ai margini. Oggi quel paese è tecnicamente uno stato fallito, nella totale impasse politica, il che rappresenta un enorme problema per noi che importavamo quasi dieci miliardi di metri cubi di gas all’anno e oggi ne importiamo meno di un miliardo. E dire che potrebbe essere un paese ricchissimo, con quasi sette milioni di abitanti, duemila chilometri di costa sul Mediterraneo, enormi riserve di gas e petrolio… Senza stabilità politica, non c’è sviluppo”. 

 

L’Algeria, che è pur sempre una dittatura africana, offre maggiori garanzie di stabilità rispetto all’autocrazia di Mosca? “Il regime russo è stabilissimo, il problema è che ha invaso l’Ucraina. L’Algeria, negli anni Novanta, è stata attraversata da una guerra civile che ha provocato 160 mila morti, non è la Svizzera. La stabilità di questi paesi dipende molto anche dalle entrate petrolifere: maggiori sono gli incassi, maggiore è la stabilità”. L’ad di Eni Descalzi ha dichiarato che potremo fare totalmente a meno del gas russo nell’inverno 2024-2025. “È così, allo stato attuale continuiamo a importare circa venti milioni di metri cubi di gas russo al giorno. Progressivamente dovremo completamente rinunciarvi. Nel frattempo, abbiamo aumentato l’import di gas liquido dagli Usa che però, come dicevo, è ben più costoso. Nel lungo periodo, il sistema industriale in Europa e in Italia dovrà fare i conti con un prezzo dell’energia più elevato che negli Usa. Si prevede che nel 2030 il prezzo del gas in Europa sarà il doppio o il triplo di quello americano. In termini industriali, ciò vuol dire che i settori segnatamente energivori, come la petrolchimica dove il gas è la materia prima, tenderanno a stabilirsi negli Usa. In Europa si faranno altre cose”. 

 

Al Consiglio europeo del 9 febbraio l’Europa troverà una risposta adeguata al massiccio piano di investimenti messi sul tavolo da Washington per incentivare l’industria statunitense nella transizione verde? “Sono convinto che il Consiglio europeo emetterà un nuovo bond per fare fronte alla competizione statunitense. Questa sfida non è solo italiana ma investe l’Europa intera. Molto dipenderà anche da come verranno ripartiti gli aiuti tra i diversi paesi europei e da quanto saremo bravi a giocare il nostro ruolo”. Per l’Italia il nord Africa richiama anche il tema del controllo dei flussi migratori: un piano di investimenti per lo sviluppo africano potrebbe incidere sui cosiddetti “push factor”? “L’immigrazione incontrollata rappresenta un problema gravissimo, noi italiani siamo vittime di quel trattato di Dublino che lascia sulle nostre spalle gran parte dell’onere dell’accoglienza. L’idea che ogni giorno centinaia di persone arrivino illegalmente e pretendano di entrare nel nostro paese è qualcosa di inaccettabile per qualunque paese al mondo. Basta guardare che cosa fa l’Inghilterra per respingere i gommoni provenienti dalla Francia o che cosa fanno gli Usa al confine con il Messico. Trovare la soluzione non è facile, il governo si sta dando un gran daffare, le norme europee vanno riformate. Abbiamo bisogno di migranti ma dovremmo poterli scegliere. La crescita demografica dei paesi africani è impressionante, in Nigeria vivono duecento milioni di persone: vogliamo accoglierli tutti? La gestione di questi numeri ciclopici è cosa ben diversa dall’accoglienza dei profughi siriani”. Su questo lei sembra in totale sintonia con il governo. “Io non giudico questo o quel governo, parlo delle cose da fare”.

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