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Il dilemma sanzioni

Tra embargo e price cap, sul petrolio Europa e Russia sono costretti a scelte difficili

Federico Bosco

Sono entrate in vigore le sanzioni occidentali sul greggio russo. Il controverso tetto a 60 dollari e quello che serve per scongiurare un vuoto nell’offerta globale

Sono entrate in vigore le sanzioni occidentali sul petrolio russo, che cercano di rispondere a un dilemma: come ridurre la dipendenza dal greggio russo e i guadagni di Mosca senza compromettere i mercati dell’energia. Dopo mesi di preparazione, l’Unione europea smette di comprare il greggio degli Urali trasportato via mare e, insieme ai membri del G7 e all’Australia, proibirà a tutti gli operatori l’utilizzo dei propri servizi finanziari (dominanti nel settore) per commerciare petrolio russo nel resto del mondo, a meno che non venga acquistato sotto i 60 dollari al barile.

 

L’obiettivo del price cap è mantenere un flusso di esportazioni di greggio russo verso paesi come Cina e India scongiurando un vuoto nell’offerta globale, ma limitando le entrate con cui Vladimir Putin finanzia la guerra. Il tetto a 60 dollari è controverso, in sede europea i più severi (Polonia e paesi baltici) lo volevano a meno di 30 dollari, mentre la Commissione e i paesi dotati di vaste marine mercantili (Grecia, Cipro) chiedevano un livello più alto: 60 dollari è un prezzo superiore al reale valore di mercato dei barili russi, e in teoria permette di continuare fare affari anche senza aderire apertamente al price cap. Questa sembra essere la linea di India e Turchia, mentre risulta meno chiara la posizione cinese. Mosca ovviamente odia l’idea che l’occidente determini il prezzo del suo petrolio, e promette che non venderà barili a chiunque sostenga l’accordo. Ma con una soglia come quella fissata il greggio russo può continuare ad arrivare sul mercato senza che il Cremlino dichiari di aver ceduto, che fondamentalmente è ciò che vogliono gli Stati Uniti e i membri del G7.

 

Ma la vera domanda è quanto soffriranno le finanze russe. Qui le analisi divergono. Il tetto a 60 dollari sulla carta non riduce granché le entrate di Mosca, ma il semplice calcolo ragionieristico trascura la portata dell’embargo dell’Ue, che priverà la Russia di un mercato di sbocco che nel 2021 ha consumato la metà delle sue esportazioni. Molti tendono a dimenticare che finora gas e petrolio russo non sono stati sanzionati, e che quest’anno l’Ue ha in parte continuato a comprare barili russi e finora la riduzione di acquisti è stata solo su base volontaria.

    

India e Cina invece hanno già aumentato i loro acquisti fino ad assorbire più della metà delle esportazioni marittime di Ural (a ottobre il 58 per cento), e anche volendo (ma così non è) non potrebbero aumentarle fino a colmare il vuoto europeo. Inoltre, la Russia deve superare il problema logistico di trovare abbastanza petroliere per dirottare tutti i carichi verso l’Asia, navi che partendo dai terminal della Russia europea (Mar Nero, Artico, e Baltico) saranno occupate più a lungo, in viaggi che da ora dureranno sempre diverse settimane invece che pochi giorni. Pertanto, da questo punto di vista il price cap fissato troppo in alto fa poca differenza, la Russia guadagnerà meno perché esporterà molto meno. Gli effetti di lungo periodo delle nuove sanzioni si vedranno solo con il tempo, ma nel giro di pochi mesi l’industria petrolifera russa potrebbe trovarsi nella condizione di dover ridurre la produzione e svendere petrolio a prezzi nettamente inferiori ai valori di mercato e del price cap.

   

Il rischio per i mercati petroliferi, e per l'economia globale, è che a un certo punto Mosca reagisca riducendo drasticamente la produzione per creare un vuoto di offerta destabilizzante. Il vice primo ministro russo Alexander Novak ha segnalato che questa è un’opzione, ma sarebbe una mossa doppiamente suicida, che andrebbe contro la decisione dell’Opec+ di coordinare ogni taglio, dando all’Arabia Saudita una ragione per scaricare la Russia e aumentare la produzione in sede Opec. I mercati, del resto, ormai sono consapevoli della capacità di adattamento del sistema petrolifero.

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