Foto di Geert Vanden Wijngaert, via LaPresse 

Editoriali

L'Unione europea si unisce al G7 per un price cap di 60 dollari sul petrolio russo

Redazione

Un prezzo al tetto è stato deciso. Gli obiettivi erano due: ridurre le entrate per la Russia senza destabilizzare il mercato e mantenere unito il fronte euro-occidentale sulle sanzioni al regime di Putin

Dopo una lunga trattativa l’Unione europea ha trovato un’intesa per imporre, insieme ai paesi del G7, un price cap al petrolio russo che è stato fissato a 60 dollari al barile. Il tetto funzionerà insieme all’embargo europeo al petrolio russo, e quindi verrà applicato per le vendite via mare verso paesi terzi: ciò vuol dire che le società europee, che dominano il mercato finanziario, non potranno ad esempio assicurare transazioni verso paesi terzi a un prezzo superiore al tetto. Questo meccanismo sostituirà l’attuale divieto totale di fornire servizi sul greggio russo previsto dalle sanzioni Ue.

 

La logica di questo nuovo sistema, suggerito dagli Stati Uniti, risponde essenzialmente a due obiettivi: il primo è quello di ridurre le entrate per la Russia; il secondo è quello di non destabilizzare il mercato, consentendo al petrolio russo di continuare a essere venduto e trasportato da operatori europei (se sotto un certo limite di prezzo). L’altro obiettivo era quello di mantenere unito il fronte euro-occidentale nelle scelte sanzionatorie contro il regime di Putin. Non sono mancati dissensi e tensioni, dato che alcuni paesi con in testa la Polonia proponevano un tetto ben più basso (30 dollari).

 

Alla fine è stato raggiunto un compromesso: la condizione è che il price cap va rivisto periodicamente e dovrà essere almeno del 5 per cento inferiore al prezzo medio di mercato del greggio russo. La Russia ha già annunciato che non venderà petrolio a chi aderirà al price cap, ma in ogni caso questo strumento sta già spingendo in basso il prezzo del greggio russo perché è una leva in mano a paesi come Cina e India per chiedere uno sconto maggiore anche senza aderire al price cap. Negli ultimi giorni, proprio in vista dell’embargo Ue e del price cap, sono esplosi i costi di trasporto costringendo Mosca ad ampliare i suoi sconti e a vendere il greggio Urals a 48 dollari. Dato che il petrolio è la principale fonte di entrate, per  il Cremlino bloccare la produzione per far aumentare il prezzo, così come fatto con il gas usato come arma contro l’Europa, è molto più costoso.

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