Giancarlo Giorgetti (LaPresse)

l'analisi

Mes, passato e futuro. Perché la ratifica è nell'interesse dell'Italia

Giovanni Tria

L’Europa è in una nuova epoca e per il nostro paese non ratificare il trattato sarebbe autolesionista 

In questi giorni, anche su questo giornale, è risorto dal passato un dibattito sulla ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) da parte del Parlamento italiano, unico tra i paesi europei a non averlo ancora fatto. Un dibattito che ritengo appartenente al passato perché nella sostanza riguarda un mondo che non c’è più. Conviene ricordare in sintesi la storia. Il Mes è stato istituito mediante un trattato intergovernativo, al di fuori del quadro giuridico della Ue, nel 2012, per soccorrere i paesi in difficoltà temporanea a finanziarsi sul mercato. La decisione sulla sua istituzione era stata presa nel 2010 nel pieno della crisi dei debiti sovrani innescata dalla Grecia e fu ratificata dal Parlamento italiano nel 2012.

 

Il dibattito sul Mes riparte nel 2018-19 con la proposta di riforma che determinò un dibattito acceso tra i ministri delle Finanze dei paesi che fanno parte del Consiglio che lo governa. Il motivo principale della riforma era l’istituzione del cosiddetto backstop, cioè di un fondo che doveva essere destinato a sostenere finanziariamente, in caso di necessità, il Fondo di risoluzione unico, già esistente, il cui scopo è quello di intervenire per aiutare a gestire le crisi bancarie al fine di evitare il contagio sistemico al sistema bancario europeo. L’oggetto della discussione era la proposta iniziale di riforma che includeva il disegno di un meccanismo di gestione di un possibile default di un debito sovrano con procedure di ristrutturazione dei debiti e meccanismi di valutazione della loro sostenibilità. Ebbene, il governo italiano, con il sostegno di altri governi, chiese e ottenne di eliminare completamente dalla riforma tutto ciò. Rimase nella riforma un molto limitato cambiamento delle condizioni di concessione dei finanziamenti di soccorso ai paesi in difficoltà che lo richiedessero. E quindi il governo italiano diede parere positivo. Non mi soffermo a valutare, oggi, le ragioni di chi allora continuava a vedere pericoli in questa riforma perché nel frattempo il mondo è cambiato e il Mes è diventato un’istituzione quasi obsoleta e in cerca di un ruolo in questo mondo diverso, e un dibattito sulle condizionalità dei finanziamenti del Mes non mi sembra che abbia ragione di occupare oggi la scena politica. 

 

In piena pandemia fu attribuito al Mes il compito di concedere finanziamenti specifici per l’emergenza sanitaria senza alcuna condizione, eppure nessun paese ne ha fatto ricorso. Si disse che il motivo era la “paura” di condizionalità nascoste nelle pieghe delle sue regole. Ma il vero motivo fu che nel frattempo il Patto di stabilità e crescita era sospeso e, soprattutto, la Bce garantiva il ricorso al mercato a tutti i paesi, anche a quelli più indebitati, a condizioni poco diverse da quelle offerte dal Mes. Ora il contesto sta di nuovo mutando. La Bce, dovendo rientrare dal programma di acquisto dei titoli sovrani adottato nel corso della pandemia, ha varato il Transmission protection instrument (Tpi), il cosiddetto scudo anti-spread, strumento ancora non chiaro anche per le condizionalità della sua attivazione. Soprattutto è aperta la discussione sulla riforma delle regole fiscali europee, cioè del Patto di stabilità. E c’è un dibattito aperto sulla possibile istituzione di nuovi fondi comunitari per l’intervento sulla crisi energetica da attivare con debito comune europeo.

 

In mezzo c’è stato il Next Generation Eu, già finanziato con debito europeo. Si discute anche se attribuire al Mes nuovi compiti tra cui, secondo alcune proposte, quello di farsi carico dei titoli pubblici oggi in pancia al la Bce. C’è molto che bolle in pentola, quindi, ed è cruciale che l’Italia abbia una voce importante sui molti fronti su cui si giocano i nuovi assetti strutturali della governance economica europea. E in Europa si gioca non battendo i pugni sul tavolo isolati, ma negoziando. E si negozia se si è capaci di costruire forti alleanze. Di fronte a questi difficili compiti da cui dipendono interessi italiani cruciali, l’ultima cosa che serve è ricominciare discussioni datate, e che non guardano più alla realtà, sui dubbi relativi alla ratifica da parte del Parlamento della riforma del Mes decisa nel 2019, aprendo in tal modo un contenzioso con tutti gli atri paesi europei che l’hanno già ratificata proprio nel momento in cui dobbiamo affermare le proposte italiane sui tavoli in cui si discutono le cose che veraente conteranno nel prossimo futuro.
Giovanni Tria

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