Gran premio di Monza (LaPresse)

settembre da record 

Gli italiani tornano agli eventi, la variabile-prezzo non è più decisiva

Dario Di Vico

La Formula 1 a Monza con 150mila presenza, il Festival del Cinema a Venezia e quello della letteratura a Mantova, e poi Fiera dell’industria orafa in Veneto. Cultura, sport, business ci raccontano uno scorcio di Italia che non vuole rinunciare a partecipare e a vivere

Assodato che nel lungo periodo, ma forse anche nel medio, saremo tutti morti, nel breve siamo maledettamente vivi. Per gli italiani questo singolare settembre 2022 non è il mese che porta alle elezioni politiche e alla resa dei conti destra-sinistra bensì è il mese della partecipazione e della mobilità. Da cronisti mettiamo in fila solo la fenomenologia che ci offre la cronaca spicciola di questi ultimi giorni. Cominciamo da Mantova e dal suo festival letterario: l’edizione che si è appena conclusa nella città dei Gonzaga ha frantumato i record delle precedenti manifestazioni con 56 mila presenze di cui 42 mila spettatori agli eventi a pagamento.

Ci spostiamo di 180 km dalla Bassa alla Brianza e anche il Gran premio automobilistico di Formula 1 di Monza ha fatto registrare una partecipazione popolare stimata in 150 mila presenze, con tanti supporter del Cavallino che avrebbero voluto esserci e non hanno trovato il biglietto. Prendiamo la A4, l’autostrada del pil, e ci spingiamo fino a Venezia alla 79esima Mostra internazionale d’arte cinematografica. Già il 25 agosto scorso i ticket d’ingresso venduti erano arrivati a quota 20 mila e ora il consuntivo finale supera i 60 mila (+6 per cento). Infine rimaniamo in Veneto e colpiscono i titoli dei quotidiani vicentini sorpresi dai risultati della Fiera dell’industria orafa che si tiene in città e che ha fatto segnare il 91 per cento di occupazione delle strutture alberghiere, addirittura più 7 per cento rispetto all’ultima Pasqua che pure aveva fatto gridare al miracolo.

 

Le cronache raccontano che lo straordinario successo di Vicenzaoro che finisce oggi (1.000 brand espositori, 400 buyer stranieri) abbia dovuto fare i conti con camere di hotel vendute – ça va sans dire – “a peso d’oro” (anche 650 euro in più).

Cultura, sport, business ci raccontano uno scorcio di Italia che non vuole rinunciare a partecipare e a vivere. Tutte le manifestazioni di cui abbiamo parlato non casualmente si tengono al nord e comunque gli organizzatori di eventi parlano di calendari pieni come un uovo e location impossibili da prenotare fino al 2023. Alcuni degli appuntamenti di cui abbiamo parlato hanno tradizioni ed eco sui media a prova di bomba ma la partecipazione di questo settembre avrebbe dovuto scontare il disincentivo di un’inflazione da record. Non è stato così. Se accostiamo questi dati ai riscontri largamente favorevoli sulla mobilità estiva su treni e autostrade possiamo forse trarre una prima analisi: la possibilità di spostarsi liberamente, di decidere cosa vedere di persona sta scalando posizioni nella gerarchia dell’identità moderna. Certo, in parte si tratta di una reazione emotiva al lockdown psicologico della pandemia ma probabilmente c’è qualcosa di strutturale in queste tendenze. La società è aperta solo se è mobile e tutto sommato la variabile-prezzo, almeno per ampi strati sociali, non è dirimente. L’Italia delle disuguaglianze convive con l’Italia degli eventi, sono facce di una stessa realtà che non coltiva le reductio ad unum, non ama essere intrappolata nelle metafore e nei luoghi comuni dei professionisti dell’elzeviro.

 

Ci possiamo spingere più in là e tentare di leggere in asse il settembre della partecipazione con i percorsi della campagna elettorale? Il consiglio è di tentare ma munendosi di alcuni caveat. Sicuramente si può dire che per ora il confronto tra i partiti non pare entusiasmare i nostri connazionali al punto che la percentuale degli astensionisti, almeno fino ai dati degli ultimi sondaggi, non pare in calo significativo. Si può anche aggiungere che dalle interviste (tante) e dai comizi (pochi) dei leader emerge complessivamente un carico di antropologia negativa che non può certo generare entusiasmo e pathos. I grandi e medi eventi, invece, a modo loro – sia chiaro – trasmettono antropologia positiva e uniscono i partecipanti. Sepolte le grandi sarà forse iniziata l’epoca delle medio-narrazioni ma a spingere gli italiani a Monza, Venezia o Mantova è innanzitutto l’idea di far parte di una comunità. Quella dei ferraristi o quella del cinema o ancora quella, un pizzico più snob, del libro ma sempre comunità orizzontale. E comunque meglio che star soli. Tanti anni fa, nel 2000, l’editore Feltrinelli quando dovette titolare in italiano il primo libro di grande successo dell’allora quasi sconosciuto sociologo Zygmunt Bauman ebbe una felice intuizione. Originariamente era “In search of politics” e loro lo tradussero come “La solitudine del cittadino globale”. Vent’anni dopo siamo ancora lì. A quel nesso sotterraneo tra politica e solitudine.