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il foglio del weekend

Bolletta gialla trionferà. Indagine sugli effetti degli aumenti dell'energia

Stefano Cingolani

Mese dopo mese i rincari del gas sono rimbalzati sui costi finali del riscaldamento e dell’elettricità. Il labirinto del prezzo, le speculazioni e infine la guerra hanno fatto il resto. I gilet francesi scesero in piazza per molto meno

A Firenze mi hanno messo in vetrina, per espormi al ludibrio dei passanti; la gogna come ai tempi di Savonarola. All’Aquila volevano infilarmi sulle corna di una mucca da portare a Papa Francesco in visita il 28 agosto, poi per fortuna ci hanno ripensato, ma promettono di riproporre la bufala in bolletta in una prossima occasione. A Ragusa sono stata caricata sui trattori. A Cuneo ci hanno chiuse tutte in scatoloni che hanno lasciato davanti alla prefettura. E le avete viste in tv quelle scalmanate che agitano le mie sorelle come fossero bandiere di guerra? Sì, perché i nuovi gilet gialli all’italiana hanno una bolletta nel taschino. Lo avrete capito, io sono la stessa che in autunno sul Foglio del sabato aveva raccontato le sue vicissitudini. Oggi quelle pene sembrano carezze, e ancora una volta sono costretta a difendere me e tutte le altre che si trovano nelle stesse condizioni. Mese dopo mese gli aumenti del gas sono rimbalzati sui costi finali del riscaldamento e dell’elettricità.

 

Bolletta è un nome antico, deriva dalla bolla sulla quale gli uffici pubblici apponevano i sigilli, oggi sono diventata la pietra dello scandalo; ora che si avvicinano le elezioni, possono persino sostituirmi alla scheda elettorale. Sentite il rimbombo di sottofondo, ascoltate le grida come al mercato, come in borsa: ci vogliono trenta miliardi (Matteo Salvini), meglio quaranta e perché non sessanta, calcola Vincenzo Boccia, ex presidente della Confindustria, mentre il suo successore, Carlo Bonomi, se la prende con “l’Europa” che è come sparare sulla Croce rossa, e richiama il governo Draghi alle sue responsabilità: può e deve intervenire. Poi, quando interviene, gli industriali non pagano e fanno ricorso alla magistratura. Le aziende chiudono, l’Italia rischia la de-industrializzazione, e via con un crescendo alla John Belushi (ricordate i Blues Brothers?). Intanto noi bollette finiamo stracciate, bruciate, vilipese e rinnegate. 


Qui c’è da tempo la dittatura del gas, ecco perché le bollette in Italia sono più care che in altri paesi. Il ricatto russo è un’aggravante


I gilet jaunes sono scesi in piazza in Francia dal 17 novembre 2018 per protestare contro i rincari delle accise sul gasolio. Erano pochi centesimi. Sì, centesimi, avete letto bene, mentre su di me stanno scritte decine e decine di euro in più. Di chi è la colpa se diventiamo lunghe e pesanti trimestre dopo trimestre? Di Putin il cui peccato capitale, l’invasione di un paese indipendente come l’Ucraina, ricade su tutti noi. Ma attenti, non c’è solo il piccolo zar sul banco degli imputati. Quando ho pubblicato la mia prima lamentela, il ministro Roberto Cingolani, che pure è uno scienziato, dichiarava: “Lo scorso trimestre la bolletta elettrica è aumentata del 20 per cento, il prossimo trimestre cresce del 40 per cento, queste cose vanno dette, abbiamo il dovere di affrontarle”. Da allora siamo a dieci volte tanto, qualcosa è stato fatto, ma non basta. 

Ricordate “il metano ti dà una mano”, lo slogan di successo dell’Eni? Ebbene adesso il metano ti dà una manata per farti cadere. L’invasione dell’Ucraina ha trasformato in scontro politico e militare quella che era una guerra di mercato. Ma qui c’è da tempo la dittatura del gas, ecco perché noi bollette siamo più care in Italia rispetto ad altri paesi. Il ricatto russo è un’aggravante, però se Mosca verrà sostituita dall’Algeria, dal Qatar o da altri esportatori, davvero sarà meglio? E la Norvegia o l’Olanda non seguono anch’esse l’onda del mercato?


Prezzo: la materia prima conta sempre attorno al 40 per cento, le tasse arrivano al 35, il resto paga il trasporto, lo stoccaggio, la vendita


Il metano è rincarato in modo significativo alla borsa di riferimento, quella di Amsterdam, già un anno fa. Da allora è tutto un su e giù fino all’autunno, quando la curva sale per schizzare in alto dopo l’invasione dell’Ucraina. Siamo in presenza di una guerra, ma anche di speculazioni e profitti di guerra. E’ bastato l’annuncio che la Ue potrebbe imporre un tetto per far scendere il prezzo a 240 euro per megawattora (meno 9 per cento solo in base a una voce). I produttori e le grandi compagnie hanno perso la trebisonda e hanno sottovalutato la ripresa, mentre governi e imprese che avevano svuotato i serbatoi non li hanno riempiti in tempo. Adesso se la prendono con me, ultimo anello di una lunga e tortuosa catena.

La formazione del prezzo è un labirinto senza il filo di Arianna. Ttf è l’acronimo per la Title Transfer Facility e indica il mercato all’ingrosso dei Paesi Bassi, tra i più grandi e liquidi d’Europa, grazie anche alla sua localizzazione che permette di trasferire il gas naturale tra Norvegia, Regno Unito, Germania, Francia e Italia. Le negoziazioni sono collegate ai contratti di importazione. I prezzi sono agganciati ai derivati del petrolio sostituti del gas naturale, ma talvolta divergono: ora ad esempio il greggio è in ribasso. Gli importatori decidono se aumentare o ridurre i quantitativi di gas russo ritirati anche in base al prezzo che si forma sul mercato. I contratti sono caratterizzati dalle clausole Take or Pay, secondo cui l’acquirente è tenuto a corrispondere comunque, interamente o parzialmente, il prezzo di una quantità minima di gas definita, anche nell’eventualità che non ritiri il gas. Al di sopra di quella soglia c’è una certa flessibilità nel regolare i volumi. Alcuni negoziati con Gazprom applicano una formula legata all’indice mensile, conosciuto come “Front Month” (prezzo del mese successivo), usato per stabilire il prezzo del gas con un mese di anticipo rispetto alla consegna. Lo scoppio della guerra in Ucraina ha mandato alle stelle il più reattivo prezzo spot, rendendo conveniente ritirare il gas russo con contratti di lungo periodo. Anche per questo le importazioni sono cresciute del 50 per cento subito dopo l’invasione. 

Ad Amsterdam si comprano future, scommesse sui prezzi a venire in base ai prezzi del passato. In Italia l’andamento al consumo è definito dall’Arera, l’autorità per l’energia, in base al metro cubo standard, cioè calcolato in condizioni fisse e stabili, perché il volume del gas varia a seconda della temperatura e della pressione. E qui entriamo in un dedalo tecnico. La materia prima conta sempre attorno al 40 per cento, le tasse arrivano al 35, il resto paga il trasporto (pesa per circa il 4 per cento), lo stoccaggio, la vendita all’ingrosso e la commercializzazione al dettaglio. Le imposte si dividono tra l’accisa sulla quantità di energia consumata, l’addizionale regionale (fatta eccezione per le regioni a statuto speciale e la Lombardia), l’Iva (10 per cento su consumi inferiori a 480 metri cubi poi scatta al 22). Viene applicato inoltre un coefficiente che tiene conto delle differenze geografiche e temporali, quindi varia su base regionale.

Per il terzo trimestre dell’anno il prezzo sale oltre la barriera psicologica di un euro al metro cubo standard, che corrisponde a una spesa media mensile di 90 euro, un anno prima era appena a 32 centesimi, già triplicato rispetto ai 12 centesimo del terzo trimestre 2020, ancora in piena pandemia. Dunque, la molla prima è stata la ripresa o meglio il rimbalzo dei consumi a mano a mano che il Covid-19 allentava la sua morsa mortale. Sto parlando del mercato tutelato sul quale vigila l’Arera che ha azzerato i costi generali di sistema che, però, non sono sufficienti a rendere me e le altre bollette davvero più leggere. E’ come un pallone aerostatico spinto in alto dall’aria calda e trattenuto in basso dalla zavorra. Solo che il principio d’Archimede da solo non basta, per trattenere la mongolfiera a questo punto bisogna legarla a terra con funi robuste. 

Il prezzo del gas fa da volano anche per la bolletta elettrica, sulla quale la materia prima, insomma l’energia generata dalle centrali, pesa per il 44 per cento. Va incanalata poi trasportata e questo costa circa un quinto del prezzo finale; le tasse sono poco più del 13 per cento; infine c’è il colpo gobbo, la spesa per gli “oneri di sistema” pari al 21,8 per cento. Gli oneri si dividono a loro volta tra quelli che servono a sostenere le energie rinnovabili e la cogenerazione, e tutti gli altri. I primi sono comprensibili anche se gli incentivi statali dovrebbero stare fuori dalle bollette, pagati con le imposte vere e proprie. Ma gli altri? Eccoli qui: costi per smantellare gli, impianti nucleari; per incentivare la produzione da rifiuti non biodegradabili; per sostenere le tariffe speciali riconosciute alle Ferrovie dello stato; l’innovazione tecnologica; i clienti disagiati; le imprese elettriche minori; l’efficienza energetica, direttamente o attraverso le industrie; il finanziamento delle compensazioni territoriali. Bloccare gli oneri impropri è un piccolo sollievo, meglio sarebbe toglierli del tutto. Ma la soluzione più radicale è sganciare la bolletta elettrica da quella del gas. Se ne discute sia a Roma sia a Bruxelles, senza risultato finora. La maggior parte dell’energia elettrica viene prodotta usando metano, quasi ovunque con l’eccezione della Francia dove il nucleare la fa da padrone. La Ue dice che bisogna ridurre al minimo l’utilizzo degli idrocarburi (oltre che del carbone) a favore delle energie rinnovabili. Dunque sganciare la luce dal gas si può fare, anzi si dovrebbe fare. Oggi siamo sorelle siamesi, domani potremmo diventare cugine, come per la benzina. In realtà ci vuole un intervento anche nel suo caso. Le accise sono le peggiori, su un prezzo alla pompa di 1,5 euro si prendono 720 centesimi. Per fare cosa? Di tutto, dalla guerra d’Etiopia (1935-1936) al terremoto in Emilia (2012).


Il prezzo del gas fa da volano anche per la bolletta elettrica. Le tasse sono poco più del 13 per cento. Il  colpo gobbo, la spesa per gli “oneri di sistema”


Ballano le cifre sui costi per le famiglie e per le aziende. I presidenti delle associazioni industriali di Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto hanno sommato il triennio 2019-2022 e sono arrivati a un onere di 40 miliardi di euro extra pagati per elettricità e gas. Si chiede la moratoria di un anno azzerando le imposte sulle bollette in attesa di rivedere il sistema. Si è pensato di tassare gli extraprofitti, finora è entrato un miliardo di euro sui dieci previsti che dovevano servire a compensare le famiglie bisognose. Le imprese non hanno pagato. Come mai? Il governo Draghi ha deciso di portare dal 10 al 25 per cento l’aliquota del contributo straordinario sul maggior valore aggiunto. Le tasse sono da versare in due tranche: il 40 per cento a giugno e il restante 60  a novembre. La norma non ha modificato il valore sul quale si calcola l’imposta, che non è in realtà costituita da profitti, ma dal maggior margine imponibile Iva realizzato tra ottobre 2021 e aprile 2022 rispetto allo stesso periodo del biennio precedente. Nel frattempo l’esecutivo ha inasprito controlli e sanzioni: al 15 per cento per chi salderà (in ritardo) la prima rata entro agosto e addirittura al 60 per cento per chi dovesse provvedere oltre tale data. Diverse aziende energetiche hanno ritenuto “incostituzionale” la misura, perché l’imposta si applica sul saldo delle operazioni Iva e non sui profitti reali, i quali potranno essere verificati solo quando i bilanci societari saranno approvati. Non solo, il rialzo del prezzo dell’energia fa già lievitare l’Iva, quindi le imprese in tal caso si troverebbero a pagare due volte. Non si tratta di cavilli da legulei, ma a questo punto proprio ai legulei si fa ricorso. 

Puntano i piedi gruppi petroliferi come Kuwait Petroleum (Q8), Ip, Esso e Engycalor che fanno capo a ExxonMobil. Dall’elenco mancano i colossi di stato Eni ed Enel. C’è però Acea Energia Spa, la municipalizzata di Roma, e anche Engie Italia Spa, multinazionale francese di luce e gas. Il Tar dovrà decidere che fare e la data stabilita è l’8 novembre. Cosa può accadere? Mi sono informata e gli avvocati danno tre possibilità: il Tribunale amministrativo regionale respinge il ricorso e tutti debbono pagare, oppure lo rinvia alla Consulta e nessuno paga finché l’alta corte non si sarà pronunciata, la terza via salomonica è che si va alla Corte costituzionale, ma intanto si paga. E’ interesse di tutti in realtà mettere fine alla querelle e scegliere un’altra soluzione. Si fa strada così la possibilità di trasformare la tassa sugli extraprofitti in addizionale Irap (l’odiatissima imposta regionale sulle attività produttive). Da tassa nuova a tassa vecchia sempre di tasse si tratta. Cosa cambia per noi bollette? Nulla di sostanziale. Possiamo diventare più leggere se s’impone un tetto al prezzo del gas? Intanto, non può essere fatto solo in Italia perché la rete è strettamente collegata con gli altri paesi, a differenza dalla Spagna che ha imposto con il consenso della Ue un cap di appena 40 euro. L’intera penisola iberica è sostanzialmente isolata, non ci sono metanodotti per trasportare nel resto d’Europa il gas che arriva soprattutto liquefatto dal Qatar o dall’America e viene poi trasformato nei sei impianti spagnoli e in quello portoghese. E’ un errore, la conseguenza del fatto che non esiste una politica energetica europea. Rimediare ormai è troppo tardi. Ma anche se l’intera Ue decidesse di bloccare gli aumenti, che cosa impedirebbe di dirottare il gas verso i paesi che pagano di più? Non c’è il rischio di provocare un crollo dell’offerta?


Non si può imporre un tetto al prezzo del gas solo in Italia perché la rete è strettamente collegata con gli altri paesi. Le differenze con la Spagna


Sarebbe diverso se sul mercato del gas si potesse operare come fa la Bce sui mercati finanziari. Insomma se esistesse una banca o meglio un’agenzia in grado di agire come grande acquirente e influenzare così la domanda e l’offerta. Vasto progetto, eppure sembrava che la Bce non potesse mai diventare un vero prestatore di ultima istanza; invece le cose sono cambiate con la crisi dei debiti sovrani. Adesso la crisi energetica potrebbe far nascere un compratore di ultima istanza, in base al fatto che si tratta di acquistare non solo fonti per produrre e consumare, ma strumenti per garantire la sicurezza. La ricetta più efficace resta sempre ampliare l’offerta e diversificare al massimo i fornitori. E’ possibile, grandi passi avanti sono stati fatti in pochi mesi, ma il tempo stringe. Se Mosca chiude del tutto i rubinetti i consumi in Italia possono reggere per un paio di mesi prima del razionamento. Però attenti, il primo settembre Gazprom ha bloccato il Nord Stream e i prezzi ad Amsterdam sono scesi. C’è del marcio in Olanda? O bastano davvero le timide aperture tedesche al tetto europeo per tagliare le unghie alla speculazione (pardon, mi dicono che si tratta di aspettative)?  Chi sono io, piccola, fragile, stropicciata bolletta per trovare risposte? So solo che voglio togliermi al più presto questo gilet giallo che mi sta stretto ed è francamente volgare. E non intendo finire al rogo come una strega di Salem.

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