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le conseguenze dell'embargo

Senza il petrolio russo la raffineria di Priolo va verso la chiusura. Serve un piano

Maria Carla Sicilia

Le deroghe che valgono per l'Ungheria sul sesto pacchetto di sanzioni non valgono per l'Italia e in Sicilia c'è un impianto che dipende completamente dal greggio di Mosca. Il Mise convoca un tavolo di crisi. Il governo ha sei mesi per trovare una soluzione 

Ora che il Consiglio europeo ha approvato l’embargo al petrolio russo che viaggia via nave, il governo italiano ha sei mesi di tempo per trovare una soluzione che consenta di tenere aperta la raffineria siciliana di Priolo. Dall’incontro che si è tenuto oggi al ministero dello Sviluppo economico non sembra ce ne sia una, se non la disponibilità a valutare “la dichiarazione di area di crisi complessa”. 


L’impianto Isab che si trova nel polo industriale in provincia di Siracusa dipende completamente dalle petroliere cariche di greggio che arrivano da Mosca e impiega circa mille dipendenti. Le aziende del polo, poi, sono fortemente interconnesse per le loro produzioni. L’indotto arriva a coinvolgere fino a cinquemila persone secondo la Regione Siciliana. “Una bomba sociale pronta a scoppiare”, ha detto ieri il presidente Nello Musumeci. 


Prima del conflitto, la quota di petrolio russo raffinato a Priolo era inferiore al 20 per cento del totale lavorato. Con l’adozione delle prime sanzioni europee, la società italiana Isab ha iniziato a non trovare compagnie disposte a venderle il greggio. Il motivo è che l’azienda fa capo a una società svizzera, Litasco, a sua volta partecipata dalla russa Lukoil. Per evitare ripercussioni, molte aziende hanno sospeso i rapporti commerciali con l’impianto, comprese quelle che lo riforniscono di greggio. La conseguenza, come ha notato il Financial Times una decina di giorni fa, è che a maggio l’Italia è diventato il primo importatore europeo di petrolio russo via nave. 


A differenza dell Ungheria che importa il petrolio di Mosca via tubo, l’Italia non ha avuto – né chiesto – alcuna deroga all’embargo contenuto nel sesto pacchetto di sanzioni. Mentre a Budapest le raffinerie che si riforniscono attraverso l’oleodotto russo Druzbha potrebbero addirittura beneficiare di un calo del prezzo del petrolio russo, venduto altrove già a sconto per effetto delle sanzioni americane, a Siracusa l’impianto Isab-Lukoil rischia di pagare un prezzo salatissimo. Con tutte le conseguenze per il sistema industriale siciliano e non solo, visto che l’impianto rappresenta circa il 25 per cento della capacità di raffinazione nazionale. 


Anche di questo hanno parlato oggi al ministero dello Sviluppo economico i rappresenti industriali, politici e sindacali. Il tavolo “interlocutorio” è stato convocato dalla viceministra Alessandra Todde, che ha ascoltato le preoccupazioni per la crisi industriale del polo siciliano. Ma non ci sono proposte concrete per affrontare il nodo approvvigionamento e non c’è ancora la convocazione per un prossimo appuntamento. Le strade potrebbero essere due. Una, poco probabile, passa attraverso l’acquisto pubblico delle quote di Lukoil, l’altra attraverso una garanzia statale che sblocchi le linee di credito per permettere alla società di acquistare greggio diverso da quello russo. Per le sue caratteristiche tecniche, la raffineria è in grado di lavorare petrolio diverso dall’Ural, ma occorre che qualcuno glielo venda senza timori di fare affari indiretti con Lukoil (che non è peraltro sotto sanzioni).


Più in generale, sulla tenuta del sistema nazionale di fronte all'embargo gli operatori del settore sono cautamente ottimisti. Almeno nel breve termine e sapendo che i prezzi potrebbero risentirne. “Il sistema è flessibile e riusciremo a reperire altro greggio, ma dobbiamo essere disposti a pagare di più”, dicono da Unem, l’associazione che rappresenta le aziende petrolifere. In prospettiva il problema potrebbe essere però la concorrenza sleale, sia esterna sia interna all’Unione europea, visto com’è stato strutturato l’accordo tra i capi di stato a Bruxelles. “Il petrolio russo che l’Europa non compra non sparisce dal mercato, verrà solo venduto ad altri e magari a prezzi inferiori. Finiremo per comprare prodotti raffinati all’estero che costano di meno – è il timore – mettendo sotto pressione il settore nazionale”.

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  • Maria Carla Sicilia
  • Nata a Cosenza nel 1988, vive a Roma da più di dieci anni. Ogni anno pensa che andrà via dalla città delle buche e del Colosseo, ma finora ha sempre trovato buoni motivi per restare. Uno di questi è il Foglio, dove ha iniziato a lavorare nel 2017. Oggi si occupa del coordinamento del Foglio.it.