Il futuro di Draghi e dell'Italia con lo spread a 200

Giampaolo Galli

Come stanno effettivamente le cose? C’è davvero, di nuovo, un rischio debito pubblico dell’Italia? Per rispondere a queste domande mettiamo in fila dati  economici e i fatti dello scenario geopolitico

Il fatto che lo spread sia aumentato (ormai siamo vicini a quota 200)  “dimostra che io non sono lo scudo contro qualunque evento, sono umano a cui le cose succedono”. Questo ha detto Mario Draghi. Possiamo dargli credito? Le cose succedono? Onestamente ne dubitiamo e pensiamo che la frase di Draghi sia stato un opportuno richiamo alla responsabilità della politica. Se si continuano a chiedere sconfinamenti di bilancio, ossia più debiti, e si impediscono le riforme che dovrebbero rimettere in moto l’economia italiana, neanche Mario Draghi può impedire che prevalga la sfiducia sulle prospettive dell’economia e dunque del debito pubblico.
 

Ma la sua azione dovrebbe servire proprio a evitare che ciò succeda. Ma come stanno effettivamente le cose? C’è davvero, di nuovo, un rischio debito pubblico dell’Italia? Per rispondere a queste domande dobbiamo mettere in fila dati  economici e i fatti dello scenario geopolitico. I dati economici ci dicono essenzialmente che il sentiero stretto di cui parlava Pier Carlo Padoan è diventato un filo davvero molto sottile. Occorre che i risparmiatori credano che si realizzi lo scenario virtuoso che Draghi e Franco hanno delineato nel Def e che richiede tra l’altro che il deficit primario- ossia prima degli interessi- scenda dal 3,7 per cento del Pil del 2021 al 2,1 quest’anno. Questo obiettivo a sua volta richiede, tra le altre condizioni, una crescita del Pil del 3,1 per cento, il che è piuttosto improbabile che si verifichi posto che, come è ormai evidente,  la guerra non finirà presto. Soprattutto lo scenario Draghi-Franco richiede –  questo è il punto decisivo – una svolta nella gestione della finanza pubblica a partire dalla legge di bilancio di quest’anno. Il deficit primario deve scendere a 0,8 per cento nel 2023 – un obiettivo molto ambizioso – e poi allo 0,3 nel 2024; deve diventare un avanzo (di +0,2) nel 2025. In altre parole, negli anni prossimi, occorreranno leggi di bilancio non più espansive, come è stato negli ultimi anni, ma restrittive. Qualora ciò si verifichi e la crescita si mantenga molto più elevata che in passato (+2,2 per cento in media nel quadriennio 22-25), il debito scenderebbe un po’, ma non sarebbe ancora stabilizzato perché, causa principalmente l’invecchiamento della popolazione, tornerebbe a salire e fra dieci anni tornerebbe ai livelli di oggi, attorno al 150 per cento del pil. Per tornare ai livelli pre-pandemia (135 per cento), che è l’obiettivo minimo, occorre la piena attuazione del PNRR, in termini di investimenti e soprattutto riforme, e un progressivo miglioramento del bilancio fino a raggiungere il pareggio strutturale nel 2032.
 

Nulla di drammatico dato che l’aggiustamento è graduale e si realizza nell’arco di un intero decennio. Ma occorre che i risparmiatori/investitori ci credano. E qui Draghi è decisivo.
Riguardo allo scenario geopolitico, è evidente che se si arriva ad uno stop del gas russo, l’Italia non riuscirà a cavarsela da sola, ma sarà costretta a chiedere una qualche forma di solidarietà ai paesi europei con finanze pubbliche più solide. E anche qui Draghi è decisivo: l’asse Draghi-Macron per un Europa più coesa e più politica è di buon auspicio. Come è di buon auspicio, l’intervista sulla Stampa del 5 maggio di Fabio Panetta, membro board della BCE e molto vicino a Mario Draghi. Tutta l’intervista ruota attorno alle “atrocità che si stanno verificando in Ucraina”, tanto che Panetta arriva ad argomentare una cosa fattualmente vera, ma del tutto inusuale per un banchiere centrale: “Sostenere l’Ucraina e impegnarsi perché la guerra finisca in fretta è anche il modo più efficace per ridurre rapidamente l'inflazione”. E in questo quadro geopolitico la Bce non può permettersi che verifichino nuovamente fenomeni di frammentazione- alias spread eccessivi-  nell’eurozona. Per questo motivo, “di fronte a una frammentazione finanziaria che ostacolasse la trasmissione della politica monetaria interverremmo con decisione”. Queste frasi non ci esimono dall’obbligo di stare in equilibrio sul filo sottile, anche perché non si può escludere un futuro aumento dei tassi di interesse, ma ci possono mettere al riparo da crisi di sfiducia non del tutto giustificate dalle variabili di fondo dell’economia. 

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