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EDITORIALI

Dire no al Nimby per liberarsi di Putin (e del suo gas)

Redazione

Cresce il numero degli impianti contestati: biogas e biometano in testa, ma tutte le rinnovabili non se la passano bene. Un report utile e la svolta necessaria

Se oggi è così difficile dire a Vladimir Putin che non vogliamo più il suo gas è anche per via dei “no” seminati negli anni dai professionisti del Nimby. La lentezza delle procedure burocratiche, su cui il governo intende intervenire per blindare i progetti che serviranno a costruire un’alternativa alle rotte del gas dell’est, concorrono solo in parte a rendere kafkiana qualsiasi richiesta di autorizzazione. L’altro aspetto sono le opposizioni locali – popolari, ambientaliste e spesso spalleggiate dalla politica senza distinzione di colore e partito – che troppe volte hanno osteggiato infrastrutture necessarie allo sviluppo del paese. Il gasdotto Tap – senza il quale oggi saremmo messi molto peggio di così in termini di prezzi e dipendenza da Mosca – è solo uno degli esempi più noti, ma gli impianti contestati sono molti di più.

Un po’ di numeri: al 2022, secondo i dati elaborati per il Foglio dall’Osservatorio Nimby Forum, sono 485, un numero in crescita di quasi trecento unità rispetto alla prima rilevazione fatta nel 2004 dal Forum di Beulcke & Partners; di questi, più della metà sono progetti energetici (57,4 per cento) e sul podio ci sono paradossalmente impianti da fonti rinnovabili (73,3 per cento), biogas e biometano in testa. Dal secondo si stima possa arrivare un incremento di produzione pari a oltre 4 miliardi di metri cubi al 2026, una quota non risolutiva ma molto utile alla sostituzione del gas russo. Dal primo si possono invece ricavare 600 milioni di metri cubi da destinare al mercato elettrico. In mezzo ci sono i giacimenti nazionali, altro tassello dell’indipendenza da Putin, ma anche parchi eolici, centrali idroelettriche, rigassificatori e termovalorizzatori (il settore dei rifiuti è il secondo per contestazioni). Ora che la guerra ci ha messo davanti alla complessità degli approvvigionamenti energetici, è chiaro che per costruire delle alternative al gas russo servirà archiviare la stagione dei “no”. Riuscire a emanciparsi da Mosca dipenderà anche dai “sì” che sapremo dire. 

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