L'aiutino cinese non salverà l'economia di Putin

Luciano Capone

Le sanzioni fanno male all'economia russa e la Cina non può sostiursi ai paesi occidentali. Paul Krugman indica quattro ragioni per cui il salvagente di Xi Jinping non basterà a evitare il declino economico e politico di Mosca

Mentre Putin stringe l’assedio alle città ucraine, le sanzioni occidentali alla Russia continuano a mordere. Non solo perché dispiegano i loro effetti nel tempo, ma perché si intensificano. Ieri il presidente americano Joe Biden ha annunciato il divieto dell’import di gas e petrolio russi. Contemporaneamente, le aziende statali cinesi stanno valutando l’ingresso in industrie energetiche russe dopo il grande esodo occidentale. Mosca, che va incontro a un progressivo stritolamento a causa delle sanzioni, si rivolge a Pechino. Ma può la Cina, come partner commerciale alternativo, salvare l’economia russa? “No, non può”, è la risposta di Paul Krugman.

 

L’economista americano, che ha vinto il premio Nobel proprio per i suoi studi sul commercio internazionale, in un articolo sul New York Times elenca quattro motivi per cui il Dragone non sarebbe in grado di salvare lo Zar sostituendosi alle economie occidentali. La prima è che la Cina, nonostante sia una potenza industriale, non è ancora capace di fornire prodotti di alta fascia tecnologica, nei settori della meccanica e dell’automotive o in quello dei semiconduttori, di cui la Russia ha bisogno. Un altro settore in cui la Russia è fortemente dipendente dall’Europa è quello farmaceutico, che la Cina non è in grado di sostituire. Insomma, le due economie non sono affatto complementari.

 

La seconda ragione è che la Cina, come la Russia e anzi più della Russia, è profondamente integrata nell’economia globale e pertanto, soprattutto a livello finanziario, è complicato per le imprese cinesi trattare con quelle di un paese che è un paria internazionale. E’ vero che Pechino può assorbire una buona parte dell’export russo di petrolio: già ora è il principale singolo paese importatore (20% dell’export russo) e il secondo mercato dopo l’Ue (che assorbe oltre il 50%). Ma ciò vale per il petrolio e non per il gas, visto che mancano le infrastrutture e per costruirle serve più tempo di quanto ne occorra all’Europa per diversificare le sue fonti. E qui si arriva al terzo punto, che è la geografia. Sebbene Russia e Cina condividano un lungo confine e sembrino vicine, per la geografia economica sono molto distanti. Il centro di gravità dell’economia russa è in Europa, a ovest degli Urali, mentre il centro di gravità dell’economia cinese si trova sulla costa orientale a migliaia e migliaia di chilometri di distanza. E nel mezzo le infrastrutture e i collegamenti sono completamente inadeguati per consentire una torsione a 180 gradi dell’economia russa.

 

Infine c’è un tema di interessi e rapporti di forza: l’abbraccio con Pechino mal si concilia con i grandi sogni imperiali di Putin. La Cina ha un’economia dieci volte più grande di quella russa e pertanto l’alleanza sarebbe impari. Inoltre avverrebbe per Mosca in un momento di grande fragilità, in cui ha poco da offrire. Dall’invasione dell’Ucraina, Putin esce con un’economia in ginocchio e una campagna militare che ha mostrato tutti i limiti organizzativi e tecnologici della fu Armata Rossa. E il settore della Difesa era proprio quello da cui i cinesi potevano aspettarsi qualcosa in cambio per ammodernare il proprio esercito. Insomma, la Russia non può ottenere dalla Cina tutto ciò che ora compra dall’occidente e, per giunta, non ha molto da offrire in cambio.

 

La prospettiva di salvezza per una Russia completamente tagliata fuori dall’occidente è quella di un’economia sempre più povera, chiusa, arretrata e completamente dipendente da Pechino. Un finale molto diverso da quello che Putin aveva immaginato quando ha deciso di invadere l’Ucraina: non la rinascita dell’imperialismo russo, ma la sua tomba.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali