Foto LaPresse di Scott Heppell 

Così gli anti populisti hanno regalato ai populisti battaglie di buon senso sull'ambiente

Claudio Cerasa

Oggi l’Italia capisce che gli unici partiti che sembrano avere in testa un’agenda politica ed economica apparentemente non ideologica sono gli stessi che hanno contribuito a rendere l’Italia vulnerabile alimentando la retorica del no

Sarà l’inflazione a ridare energia al populismo? C’è un fenomeno interessante, a tratti spaventoso, che giorno dopo giorno emerge con chiarezza osservando il dibattito politico che sta montando attorno a uno dei temi più importanti che si trovano sul tavolo del governo. La questione riguarda un problema importante che nella stagione del post emergenza pandemica si trova in cima alle preoccupazioni di molti cittadini. E quel problema coincide con il rincaro dei prezzi e in particolare con il rincaro delle tariffe energetiche. I numeri ormai li conosciamo tutti. Negli ultimi nove mesi le tariffe del gas hanno subìto un aumento complessivo dell’84,4 per cento. Nello stesso periodo, l’elettricità è cresciuta del 86,9 per cento. Si calcola che quest’anno ogni famiglia spenderà, in media, circa mille euro in più rispetto al 2021: 441 euro per la luce e 567 per il gas. In totale, si tratta di un costo che si aggira attorno ai 30 miliardi.

I numeri li conosciamo, e li sperimentiamo ogni giorno sulla nostra pelle, ma dietro a quei numeri c’è un problema di carattere ideologico che riguarda una consapevolezza che inizia a far presa. E che nasce da un ragionamento lineare. La transizione ecologica ha un costo – l’accelerazione alla riduzione delle emissioni imposta dalla Commissione europea con il pacchetto Fit for 55 ha prodotto come effetto il taglio degli investimenti nei sistemi energetici tradizionali e questo taglio ha portato a una bassa capacità produttiva e a una riduzione delle scorte. Parte di quel costo è riversato sulle nostre bollette. E più si andrà avanti con il tempo più le forze politiche avranno difficoltà a giustificare quel costo di fronte ai propri elettori. In questo scenario, il paradosso di fronte al quale si trovano molti osservatori è quello di vedere un mondo, come quello energetico, all’interno del quale gli unici a sembrare immobilizzati sono coloro che in teoria il populismo lo dovrebbero combattere. La politica del no a tutto –  no estrazione, no trivelle, no gas, no termovalorizzatori, no nucleare, no pale – è una politica di matrice populista che ha contribuito a creare l’illusione che fosse sufficiente puntare sulle rinnovabili per non rendere il nostro paese vulnerabile di fronte a ogni crisi energetica.

 

Oggi l’Italia, oltre che scoprirsi vulnerabile, capisce però che gli unici partiti che sembrano avere in testa un’agenda politica ed economica apparentemente non ideologica sono gli stessi che hanno contribuito a rendere l’Italia vulnerabile alimentando la retorica del no. Piccolo esempio. La scorsa settimana, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha deciso di inserire il gas e il nucleare nella tassonomia, la classificazione degli investimenti sostenibili in linea con il Green deal. Il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, facendo propria la linea del governo Draghi, ha votato a favore, ma in pochi si sono accorti che l’unico partito in Italia ad aver applaudito il commissario non è stato il Pd (Enrico Letta è contrario al nucleare e dice che “il gas non è il futuro”) ma è stata la Lega (il cui segretario, ieri sul Sole 24 Ore, ha invitato i partiti a “superare i no ideologici”, come i “niet a tav, trivelle, gasdotti, gassificatori”, dimenticando di essere stato lui stesso a promuovere in passato molti di quei no).  

“L’opposizione al nucleare – ha scritto ieri sul Point Maarten Boudry, un filosofo della scienza e ricercatore presso l’Università di Gand (Belgio) – non è l’unico modo in cui gli ambientalisti tradizionali, con le migliori intenzioni del mondo, hanno danneggiato la causa del clima. Se questo è l’errore più grande, una storia simile può essere raccontata con l’opposizione agli Ogm (che hanno una serie di benefici per il clima), alla cattura e allo stoccaggio della CO2”. Il punto è dunque ovvio. Se gli antipopulisti non troveranno una chiave non demagogica per affrontare la transizione ecologica (una chiave diversa dal chiedere uno scostamento di bilancio), l’ambiente sarà il terreno su cui il populismo troverà nuova energia. Forse non ne vale la pena.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.