(foto Ansa)

L'altra pandemia

Quanto pesa il costo delle materie prime nel disastro di Saipem? Storia di un flop

Mariarosaria Marchesano

Una delle eccellenze nazionali per la progettazione e realizzazione di impianti energetici oggi ha bruciato un terzo del suo valore in Borsa: quando ha deciso di essere più incisiva nella transizione energetica, il contesto è diventato all’improvviso sfavorevole

Il governo Draghi non fa in tempo a godersi un po’ di ritrovata stabilità che uno tsunami investe una delle più importanti aziende di stato, la Saipem, eccellenza nazionale per la progettazione e realizzazione di impianti energetici. La società, guidata da Francesco Caio e che vede Eni e Cdp come azionisti di riferimento, oggi ha bruciato quasi un terzo del suo valore di Borsa dopo aver lanciato un profit warning in cui ha spiegato di prevedere per il 2021 perdite di bilancio superiori a un terzo del capitale sociale. Per questo sono stati avviati contatti con le banche finanziatrici e con i soci Eni e Cdp per verificare la loro disponibilità a supportare “un’adeguata manovra finanziaria”. In parole povere, Saipem, come prevede il codice civile in questi casi, dovrà essere ricapitalizzata e considerando che non sono passati neanche sei anni dall’ultimo aumento di capitale di 3,5 miliardi (2016) si comprende perché gli investitori abbiano reagito così male (il titolo ha chiuso la seduta con un tonfo del 30 per cento).

Per il mercato, infatti, l’allarme sulle condizioni finanziarie di Saipem era assolutamente inatteso dopo che a ottobre scorso Caio aveva presentato il piano industriale 2021-2025 escludendo che potesse essere necessaria un’iniezione di liquidità e indicando obiettivi ambiziosi per i prossimi anni, compresa una maggiore presenza nelle rinnovabili. Ma il perdurare della pandemia, l’aumento dei costi delle materie prime e della logistica rende impossibile realizzare i risultati legati ad alcuni progetti onshore e offshore, cioè a terra e a largo, ha spiegato una nota di Saipem alla quale è seguita una comunicazione stringata di Eni che sta monitorando “con attenzione” la situazione e farà le opportune valutazioni in coordinamento con Cdp solo quando potrà disporre di un quadro più completo. Anche la Consob ha fatto sapere di stare monitorando la vicenda, che diventerà più chiara con i dati ufficiali di bilancio e le valutazioni dei revisori, per stabilire se la perdita è temporanea o duratura e se è in grado di compromettere la continuità aziendale. Solo successivamente la parola spetterà agli azionisti per manifestare la loro disponibilità o meno a ricapitalizzare la società.

Al momento non si sa a quanto potrebbero ammontare le risorse necessarie per ricostituire il capitale di Saipem, ma un’analisi della società di brokeraggio Bestinver calcola che la perdita complessiva nell’esercizio 2021 dovrebbe aggirarsi intorno a 2 miliardi di euro (1,1 miliardi nei primi nove mesi più 900 milioni nel quarto trimestre). “Riteniamo che tale mutamento strutturale di prospettive a distanza di soli tre mesi dalla presentazione del piano industriale possa minare la fiducia del mercato nel management”, dice Bestinver. Un giudizio severo che si basa sulle aspettative che aveva suscitato il ricambio di management avvenuto la scorsa primavera quando Caio ha preso il posto di Stefano Cao, che era in sella dal 2015. Saipem, infatti, aveva ritrovato a fatica la strada del profitto nel 2019, ma poi è iniziata una lunga serie di trimestri in rosso, dovuta al calo e al rallentamento delle commesse.

Lo scoppio della pandemia nel 2020 ha complicato le cose, ma tra le cause principali del deterioramento di conti vengono annoverati sia il progetto per la costruzione di una raffineria petrolifera nel nord del Mozambico, area che è stata scenario di eventi sovversivi, sia quello per la costruzione di alcune centrali eoliche nel mare del Nord, dove c’è una feroce competizione tra operatori energetici che stanno affrontando la transizione. E’ la stessa Saipem a spiegare che la profittabilità legata a questi progetti deve essere rivista perché l’aumento che nel frattempo c’è stato nei costi dei materiali e della logistica è solo “parzialmente recuperabile”. In particolare, per i progetti eolici offshore, è necessario rivedere tempi e costi di esecuzione su cui gravano i ritardi nelle forniture. Il paradosso è che Saipem è una di quelle società a cui è stata rimproverata un’eccessiva concentrazione nelle fonti fossili, ma quando ha deciso di essere più incisiva nella transizione energetica il contesto è diventato all’improvviso sfavorevole. Ad ogni modo, il crescente fabbisogno energetico esploso in tutto il mondo con la ripartenza economica (come testimonia l’aumento senza sosta del prezzo del petrolio) dimostra che non sarà così facile fare a meno degli impianti di estrazione, raffinazione e trasporto costruiti da società come Saipem.

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