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Perché contro la greenflation ai partiti serve meno ideologia

Non c’è modo ora di affrontare in maniera strutturalel'inflazione che non è solo italiana, e che nell'Europa e nel mondo non colpisce in eguale misura. Si potrebbe però inserire nelle trattative sul patto di stabilità lo scorporare dal debito gli investimenti verdi penalizzati dai costi energetici

 

All’incontro di oggi al ministero dello Sviluppo economico il governo risponderà all’sos delle imprese sul caro-energia con misure a breve ma con le mani legate su interventi sulle cause strutturali o di lungo periodo dell’inflazione. La quale a sua volta è stata ieri giudicata non più temporanea dal commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni (“Calerà, ma probabilmente non così presto come atteso e forse sarà nella seconda metà dell’anno”) e dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani (“Se a fine anno avevamo detto che ci si aspettava che dopo il primo trimestre si potesse assistere a una stabilizzazione dei prezzi del gas, adesso appare più difficile da credere. Gli analisti la prevedono non così imminente”). Non un buon viatico anche perché nessuno a livello governativo parla del convitato di pietra, cioè la “greenflation”, l’inflazione indotta proprio dalla decisione europea di fare della Ue la prima area del mondo climaticamente neutra: “greenflation” invece esplicitamente chiamata in causa da Isabel Schnabel, rappresentante tedesca nel board della Banca centrale europea.

 

L’Italia cammina sulle uova perché alle nostre decisioni sono collegati i fondi del Next generation Eu, a loro volta necessari per il rilancio post Covid. Ma anche, verde o non verde, inflazione che prima o poi indurrà la stessa Bce a rivedere la prudenza sui tassi d’interesse. Il tutto mentre inizia l’anno dedicato alla modifica del patto di stabilità europeo che l’Italia, come la Francia che ha ora la presidenza del semestre Ue, vuole meno stringente. Dunque Giancarlo Giorgetti su mandato di Mario Draghi potrà promettere alle imprese altre misure-tampone dopo quelle già dedicate alle famiglie: si parte da 7-8 miliardi per parziale eliminazione degli oneri aggiuntivi in bolletta (accise e spese di sistema, ma non l’Iva), dall’utilizzo del ricavato dei proventi delle aste di emissioni Co2, un bizantino meccanismo di debiti e crediti tra grandi produttori e grandi consumatori (2,5 miliardi), da una tassa sugli extraprofitti dei gruppi energetici, tra i quali c’è peraltro Enel che gli utili li versa in gran parte al Tesoro. Non c’è modo ora di affrontare in maniera strutturale una questione che certamente non è solo italiana, e che nella stessa Europa e nel mondo non colpisce in eguale misura. L’inflazione annua italiana è al 3,9 per cento, in Germania al 5,7, in Francia al 2,8, nella media Ue al 5. Negli Usa al 7, in Giappone a zero, in Cina all’1,5.

 

Colpisce i paesi con scorte fossili e con materie prime; dotate o meno di energia nucleare; che in questo momento sono più avanti, per esempio, nella conversione elettrica o ibrida dell’auto (Cina e Giappone, ma la Tesla è americana e sta vivendo un boom). Qual è la differenza? Sostanzialmente che fuori dalla Ue le banche centrali hanno le mani più libere sui tassi, il che non sarebbe un bene per noi se lo facesse la Bce; ma soprattutto che i piani governativi hanno posto all’industria meno vincoli green. E anche questi, nell’Eurozona, non producono gli stessi risultati. Per esempio: il Tesoro tedesco ha emesso un Bund indicizzato all’inflazione per reperire fondi contro il caro energia; strada battuta dall’Italia finché l’aumento dei prezzi è stato contenuto. Oggi fare debito per l’emergenza risulterebbe troppo caro e l’ esempio tedesco induce prudenza: quel Bund ha riportato il rendimento sopra lo zero, uno dei motivi del rialzo virtuale dello spread e di quello reale dei nostri titoli, dai triennali in su. La Confindustria ha documentato come finora il rialzo del gas e delle materie prime sia stato assorbito dalle imprese senza riflessi sui prezzi al consumo. Ma questo ha eroso i margini: si esce dal Covid con produzione, occupazione e Pil di nuovo a repentaglio. Un buon argomento da inserire nelle trattative sul patto di stabilità sarebbe lo scorporare dal debito gli investimenti verdi penalizzati dai costi energetici. Bisognerebbe però dismettere parecchia ideologia, e quanto all’Italia capire che il ritardo dipende anche da noi. Vedi per esempio alla voce trasporti pubblici e concorrenza.

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