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L'insostenibile  prezzo di energia e materie prime per le imprese

Le aziende italiane hanno assorbito finora i rincari, anziché trasferirli sui prezzi. Dati e possibili vie d’uscita in un rapporto di Confindustria

L’inflazione in Italia è ancora più bassa che altrove: su base annua il 3,9 per cento complessivo, e l’1,4 depurata di energia e alimentari. Un valore del quale forse non tutti i consumatori si accorgono, essendo le loro attenzioni concentrate sui rincari più visibili delle bollette elettriche e del gas. “Se gli aumenti dei prezzi delle materie prime e in particolare dell’energia elettrica sono elevati per le famiglie e mettono a rischio il recupero dei consumi, per l’industria italiana sono insostenibili”, dice Alessandro Fontana, direttore del Centro studi di Confindustria. “Sono le imprese ad aver assorbito finora i rincari, anziché trasferirli sui prezzi. Inoltre paghiamo l’energia molto più dei concorrenti francesi e tedeschi rischiando di perdere quote di mercato in maniera irreversibile”. 

Le aziende risentono dell’intero ciclo di rialzi, e bastano alcuni esempi: petrolio più 13 per cento a dicembre 2021 su fine 2019; rame più 57 per cento; cotone più 58. Se il greggio ha recuperato pienamente il calo di inizio pandemia, rame e cotone sono molto oltre. Il gas naturale viaggia a parte: per l’enormità del rincaro, del 723 per cento, e per la repentinità – il balzo è di fine 2021 – dovuta a vari fattori, geopolitici e no. Finora la questione è stata dibattuta nelle banche centrali cui è deputato il controllo dell’inflazione; e anche la politica se ne sta occupando, compresa quella italiana con il governo che annuncia interventi calmieratori e la Lega che chiede una manovra d’urto di 30 miliardi. Ma il problema non resterà circoscritto, neppure da noi. Rischia di esplodere per famiglie e consumatori, mentre nelle imprese è già esploso. Uscire dal Covid e ritrovarsi con un problema sociale e industriale di questa portata è impensabile. E dunque? Confindustria ha esaminato il problema, il suo Centro studi ne ha sezionato i vari passaggi fornendo dati e possibili strumenti in un rapporto che viene pubblicato oggi, e che il Foglio anticipa.

 

Punto primo: l’elettricità. “L’impennata della quotazione del gas si è rapidamente trasferita sul prezzo dell’energia elettrica in Italia, facendo lievitare i costi energetici delle imprese” scrive il Centro studi. “Trentasette miliardi previsti per il 2022, da 8 nel 2019. Un livello insostenibile, che minaccia la chiusura di molte aziende in assenza di interventi efficaci. Il prezzo dell’elettricità è più alto che in Francia e altri paesi europei, a seguito delle policy che questi hanno messo in campo. Questi rincari significano anche un marcato aumento della bolletta energetica, pagata dall’Italia ai paesi esportatori”. 

Punto secondo: i rischi per imprese e pil. “Il forte aumento dei costi si è tradotto in una brusca compressione dei margini operativi, data la difficoltà di trasferire ai clienti i rincari delle commodity. La sofferenza dei margini è maggiore nei settori più a valle, che producono beni di consumo, per esempio, abbigliamento e mezzi di trasporto, ma anche nei settori energivori come cemento e ceramica, metallurgia, legno e carta. L’assorbimento dei rincari nei margini delle imprese, fino al loro annullamento, spiega anche perché l’inflazione in Italia rimane più bassa che altrove”. Dunque la manifattura italiana che si è salvata dal Covid, trainando la ripresa del pil oltre il 6 per cento, rischia un’inversione. Mario Draghi parla di “rischio reale”. Anche l’atteggiamento dei consumatori improntato alla fiducia potrebbe cambiare: le risposte positive rispetto a quelle negative a novembre superavano il 24 per cento, un po’ per ottimismo di rimbalzo un po’ non avendo percepito ancora i rialzi. Le stesse imprese si erano mostrate fiduciose, con attese favorevoli prevalenti del 46 per cento per i prezzi di vendita, nuovo picco nelle serie storiche.

Punto terzo: aziende senza cassa? Il rapporto sottolinea come l’Istat evidenzi già un’erosione dei margini di guadagno (dell’1,7 per cento) non compensato dai prezzi. “In prospettiva se i rincari saranno in parte temporanei come atteso, la situazione potrebbe alleggerirsi per alcuni settori. Penalizzati resterebbero, invece, quelli che usano le commodity con i rincari più permanenti (metalli, tessili). Tutti i settori si possono giovare del rimbalzo dell’economia italiana, su cui però si stanno accumulando rischi al ribasso. Questo sta comprimendo nel 2021 il cash flow prodotto dalle imprese. Ciò si somma a valori del cash flow già molto ridotti nel 2020 a causa del lockdown, che hanno condotto a un serio problema in termini di liquidità generata internamente”. E aggiungiamo che con imprese a corto di liquidità si annullerebbero i benefici della politica monetaria accomodante in atto da ben prima del Covid.

Punto quarto: perché il gas penalizza l’Italia? L’inflazione non è uguale ovunque, quella americana è al 7 per cento ed è “core”, cioè legata più a fattori interni come gli aumenti salariali che all’energia e alle materie prime. La Germania sconta l’aumento delle aliquote Iva per la transizione energetica. Il cambio euro-dollaro può ammortizzare o amplificare i rialzi. “Ma tra i paesi europei l’Italia è il più esposto al rincaro del gas. Il mix energetico del nostro paese privilegia tale fonte: 42 per cento del consumo totale di energia in Italia nel 2020, cui si somma il 36 di petrolio, contro il 38 nel Regno Unito, il 26 in Germania, il 23 in Spagna il 17 in Francia che conta sul nucleare”.

Punto quinto: come evitare un’altra catastrofe. I rincari dell’energia e delle materie prime dipendono da questioni geopolitiche, ma anche da decisioni politiche e spinte sociali. La transizione ecologica in larga parte è irreversibile. Ad essa sono anche legati i molti miliardi del Next generation Eu, vitali per un paese ultraindebitato come l’Italia. Confindustria ricorda che la stessa Ue non impone le nuove discipline come gabbie, lasciando ai singoli di adattarle al mercato interno e alle linee guida sugli aiuti di stato. “Per l’energia il governo può intervenire sulle componenti fiscali e parafiscali della bolletta aumentando anche temporaneamente le esenzioni per alcuni settori a rischio delocalizzazione”, così come per le famiglie. Egualmente sono possibili misure antispeculative sulle materie prime. “Ma servono anche interventi strutturali. Per il gas naturale sarebbe opportuno, con effetto a somma zero sul piano ambientale, aumentare la produzione nazionale e riequilibrare, sul piano geopolitico, l’approvvigionamento del paese. Per il mercato elettrico è necessario promuovere rapidamente una riforma, al fine di disaccoppiare la valorizzazione della crescente produzione di energia rinnovabile dal costo di produzione termoelettrica a gas”. In altri termini: più mercato, più concorrenza, meno rendite garantite comprese quelle pubbliche, meno incentivi demagogici. Diversamente il verde muterà in rosso shocking.

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