Il Cashback per combattere l'evasione? Uno spreco di soldi, dice il Mef

Luciano Capone

"Non è lo strumento più idoneo per contrastare il sommerso. Il costo è superiore alle potenzialità di gettito evaso”, scrive il ministero dell'Economia nella relazione che boccia il bonus sui pagamenti digitali introdotto da Conte

Uno dei primi provvedimenti di Mario Draghi, quando la sua azione politica era più incisiva, è stata la sospensione del cashback. Il bonus del 10 per cento introdotto dal governo Conte per i pagamenti digitali, dal costo di 4,75 miliardi di euro, venne accantonato perché da un lato era insieme iniquo (“accentua la sperequazione tra i redditi, favorendo le famiglie più ricche” disse il Consiglio dei ministri il premier) e troppo oneroso (“determina un effetto moltiplicativo sul pil non sufficientemente significativo a fronte del costo della misura”). Ma fino all’ultimo il M5s aveva cercato di riproporre il bonus, presentandolo come un efficace strumento anti-evasione: “L’evasione fiscale supera i 100 miliardi annui – dichiarava a novembre Giuseppe Conte –. Eppure strumenti anti-evasione come il Cashback sono stati bruscamente interrotti, eppure alcune forze politiche continuano a strizzare l’occhio agli evasori”.

 

Una delle critiche principali rivolte a Draghi era di aver cancellato la misura senza dati. Si trattava di una critica surreale, che semmai andava rivolta al suo predecessore, a chi aveva deciso di spendere quasi 5 miliardi senza  una valutazione d’impatto ex ante: è chi decide di consumare le risorse pubbliche, soprattutto quando sono consistenti, che dovrebbe fornire dei dati che ne giustifichino l’impiego. In ogni caso, ora sul cashback una valutazione ex post c’è. Ed è una bocciatura. Il ministero dell’Economia (Mef), in attuazione degli adempimenti previsti dal Pnrr, ha prodotto una relazione su uno degli obiettivi del Piano (“Riforma dell’amministrazione fiscale”), in cui si parla delle azioni per ridurre l’evasione fiscale. “La valutazione ex post del Progetto Cashback fornisce risultati che non suggeriscono di riproporne l’adozione – scrive il Mef, sulla base dell’analisi dei dati da febbraio 2020 ad agosto 2021 –. Ciò per due ragioni. In primo luogo non può essere stabilita una relazione causale chiara tra gli incentivi previsti dal cashback e la riduzione dell’evasione fiscale. In secondo luogo il costo, pari a 4,75 miliardi di euro, risulta superiore alle potenzialità di gettito evaso”. E questo anche se si volesse riformare il bonus per renderlo meno generalizzato e più selettivo: “La misura risulterebbe molto onerosa anche nel caso in cui gli incentivi fossero mirati ai settori ad alta evasione”. In pratica, il Cashback il gettito lo fa perdere anziché recuperare e pertanto “non appare lo strumento più idoneo per contrastare l’economia sommersa e l’evasione fiscale”.

 

E’ inoltre vero che il rimborso ha contribuito a stimolare i pagamenti digitali. Ma naturalmente questa tendenza, che era già in crescita prima e che ha avuto un impulso per effetto della pandemia, non giustifica una spesa così grande. Per giunta il trend ora prosegue anche in sua assenza: “I dati non sembrano confermare un effetto generalizzato di arresto della spinta della digitalizzazione a seguito della sospensione del cashback”, scrive il ministero guidato da Daniele Franco.

 

Le conclusioni del Mef non suscitano stupore, erano del tutto prevedibili (come infatti avevamo scritto in tempi non sospetti). Era invece sorprendente la posizione di chi si aspettava un esito diverso, senza peraltro aver fatto un’analisi d’impatto ex ante a supporto. Le ragioni a favore dell’abolizione (iniquità redistributiva e eccessiva onerosità) valgono a maggior ragione per il Superbonus: un bonus che non vale il 10 ma il 110 per cento, che non costa 4,75 ma 33,3 miliardi, che è stato proposto sempre dal M5s ma sostenuto da tutti gli altri partiti. Anche sul Superbonus Draghi aveva proposto una riduzione progressiva, ma evidentemente alla fase iniziale del governo la sua spinta riformista si è indebolita ed è così passata la linea dei partiti che ne hanno chiesto la proroga e l’estensione. Le valutazioni d’impatto sono utili, ma non servono a nulla quando il partito della spesa è così forte e trasversale.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali