(Photo by Sean Gallup/Getty Images) 

I rincari sull'energia

L'ideologia è un costo in bolletta. Affidarsi ai mercati piuttosto che alla burocrazia

Simona Benedettini e Carlo Stagnaro

I consumatori europei stanno soffrendo rincari delle bollette senza precedenti. Oltre l’inflazione c’è qualcosa di più. Per trasformare un intero sistema economico non basta la buona volontà. Ci vuole cautela, chiarezza e attenzione alle conseguenze non intenzionali

Nucleare sì o nucleare no? Gas sì o gas no? In Europa impazza il dibattito sull’inclusione di queste tecnologie nella Tassonomia per le attività sostenibili della Commissione europea, il documento che identifica i criteri per cui un’infrastruttura energetica può dirsi sostenibile in modo da indirizzare i mercati finanziari verso iniziative volte a contrastare il cambiamento climatico. 

Mentre ci si scontra sulla Tassonomia, i consumatori europei stanno soffrendo rincari delle bollette senza precedenti. In Italia, nel primo trimestre 2022, i prezzi di luce e gas aumenteranno del 55 per cento e del 41,8 per cento per le famiglie che non hanno scelto un fornitore sul mercato libero e hanno sottoscritto una offerta di Maggior tutela aggiornata ogni tre mesi dall’Autorità di regolazione per Energia Reti e Ambiente. Chi sta sul mercato libero se ha sottoscritto un’offerta a prezzo fisso potrà essere protetto almeno per un po’ dai rincari. Negli altri paesi la situazione non è diversa: in Germania, infatti, si stima un aumento annuo del 63 per cento dei prezzi dell’elettricità delle offerte in corso di validità e di circa il 100 per cento di quelle di nuova sottoscrizione. Nel Regno Unito, i maxi aumenti hanno già prodotto una catena di fallimenti tra gli operatori. Lo ha certificato la stessa Banca centrale europea: intervenendo a un convegno online dell’American Finance Association lo scorso 8 gennaio, Isabel Schnabel – membro del board della Bce – ha messo in guardia contro gli inevitabili aumenti di breve e medio termine per effetto transizione energetica. Si tratta di un male necessario per mitigare il cambiamento climatico: ma negarne i costi sarebbe, oggi più che mai, negare l’evidenza. 

 

I rincari dipendono dalle dinamiche recenti sui mercati all’ingrosso delle due commodity. Il prezzo dell’energia elettrica è infatti passato dal valore medio giornaliero di 113 euro/MWh di luglio a 281 euro/MWh a dicembre con picchi superiori ai 500 euro/MWh. Nello stesso periodo, sul mercato di riferimento per lo scambio di gas naturale in Europa, il TTF olandese, i prezzi spot si sono più che triplicati, passando dai circa 15-20 euro/MWh nel primo semestre 2021 agli oltre 60 euro/MWh in chiusura dell’anno, con punte di 140 euro/MWh poco prima di Natale. 

Stiamo quindi assistendo a uno tra i più drammatici fallimenti del mercato? No. In primo luogo, stiamo osservando il funzionamento fisiologico del mercato, in presenza di una domanda sopra le attese e di un’offerta (di gas ed energia elettrica) insufficiente. Ma stiamo anche vedendo gli effetti di una politica energetica che ha abdicato al suo obiettivo principe, decarbonizzare l’economia garantendo la sicurezza degli approvvigionamenti e la competitività dei prezzi, in favore di una politica industriale che si sostanzia nella fissazione di obiettivi di investimento in specifiche tecnologie, rinnovabili in particolare. 

Nel 2019, con il “Green Deal europeo”, la Commissione Europea ha fissato al 2050 l’obiettivo di zero emissioni di gas serra. A tal fine, nel 2021, ha rafforzato gli attuali target clima-energia al 2030: 40 per cento di quota di energia da fonti rinnovabili sui consumi finali lordi, dall’attuale 32 per cento; riduzione del 55 per cento delle emissioni di gas serra, dall’attuale 40 per cento; 36-39 per cento di efficienza nei consumi energetici finali, dall’attuale 32,5 per cento. Gli obiettivi al 2030 sono a loro volta un’evoluzione di quelli al 2020, dove i tre target (tutti al 20 per cento) erano stati fissati una dozzina di anni prima in vista della scadenza degli impegni sottostanti al protocollo di Kyoto

 

Questo approccio si è tradotto in  sussidi per lo sviluppo di capacità di generazione elettrica fotovoltaica ed eolica. Secondo l’ultimo rapporto della Commissione Ue, nel solo 2018 le fonti rinnovabili hanno ricevuto incentivi pari a circa 71 miliardi di euro nell’Ue27 (al netto della Gran Bretagna), di cui 48 miliardi (il 68 per cento) a eolico e fotovoltaico. Nel 2008 erano appena 19,6 miliardi, di cui una decina a sole e vento. A questi trasferimenti monetari espliciti bisogna aggiungere il costo implicito degli adeguamenti alle reti per la trasmissione dell’energia e dei sistemi per controbilanciare l’intermittenza di queste fonti. 

In assenza di sistemi di stoccaggio dell’elettricità commercialmente maturi, il consumo non coperto dalle rinnovabili è soddisfatto da centrali a gas capaci di colmare in tempi rapidi gli squilibri tra domanda e offerta.

Nelle settimane scorse, con condizioni meteo sfavorevoli alla generazione rinnovabile (in particolare l’eolico nel mare del Nord) e con la ripresa dei consumi post Covid, il ricorso alle centrali a gas è aumentato in tutta Europa. Con esso è cresciuta la domanda di gas, già in rialzo per via di temperature più rigide, che a fronte di inadeguati volumi stoccati di gas ha causato l’impennata nei prezzi. Tale problema è stato esacerbato dagli scarsi investimenti nella ricerca di nuovi giacimenti, dovuti sia ai bassi prezzi del gas naturale degli scorsi anni, sia alla esplicita scelta di molti Stati membri dell’Ue, tra cui l’Italia, di bloccare l’esplorazione di idrocarburi. 

I criteri stringenti della Tassonomia sulle attività sostenibili renderanno ancora più difficile finanziare nuove campagne di prospezione. Il tutto con buona pace dell’Agenzia internazionale dell’energia, che solo pochi mesi fa diceva che non sarebbe servito mettere in esercizio nuove risorse, e oggi prega in ginocchio di aumentare la capacità produttiva. 

Per come è disegnato il mercato elettrico europeo, i costi di produzione delle centrali a gas determinano il prezzo all’ingrosso dell’elettricità: un rialzo del prezzo del gas causa, quindi, un aumento del prezzo dell’elettricità. Tra i costi degli impianti a gas rientrano anche i costi per i permessi emissivi di CO2 i quali hanno raggiunto il record di 80 euro / ton CO2 (che corrispondono a un incremento di circa 27 euro del MWh elettrico).

Le tensioni con la Russia per l’approvazione tedesca del gasdotto Nord Stream 2 sono solo l’ultimo atto di un fenomeno che, generato da politiche di lungo termine, si ripeterà. E la Commissione ne è consapevole. Nella valutazione di impatto dell’Eu Green Deal di settembre 2020, infatti, riconosce che la transizione verde avrebbe causato maggiori costi per i consumatori. Dall’altra, sembra averne sottostimato la portata. La valutazione è infatti basata su uno scenario più roseo di quello attuale con prezzi del gas e della CO2 più contenuti, tassi di crescita dell’economia più sostenuti e raggiungimento dei target correnti al 2030.  

Ma la transizione, per come l’ha disegnata la Commissione, se non manca di effetti drammatici sulle economie degli Stati Membri non manca neppure di paradossi. Il ricorso più frequente alle centrali a gas, e in alcuni Paesi a quelle a carbone o addirittura a olio combustibile per evitare i black-out, rallenterà la riduzione delle emissioni di gas serra. Inoltre, prezzi dell’elettricità così elevati frenano l’elettrificazione dei consumi considerata la leva principale per centrare il target sull’efficienza energetica. In ultimo, le misure d’urgenza che i Governi europei hanno adottato contro il caro bollette generano debito pubblico distogliendo risorse destinabili alla stessa transizione. Paradossalmente, proprio mentre i Capi di governo si impegnavano alla Cop26 di Glasgow a tagliare i sussidi cosiddetti ambientalmente dannosi, appena tornati in patria approvavano le più colossali manovre di mitigazione del caro-prezzi mai viste. 

Se non è possibile rimediare al peccato originale, l’avere confuso la transizione energetica con la politica industriale, c’è ancora spazio per una parziale redenzione. Intanto, completando la liberalizzazione del mercato retail. Con una maggiore volatilità dei prezzi all’ingrosso, offerte variabili come la maggior tutela espongono i consumatori a forti rincari delle bollette, diversamente dalle offerte a prezzo fisso sottoscrivibili sul mercato libero. Secondo, permettendo ai clienti finali di partecipare ai mercati all’ingrosso. In questo modo, essi sarebbero remunerati per servizi come lo spostamento dei propri consumi nel tempo, quando per esempio i prezzi crescono in risposta a squilibri tra domanda e offerta, compensando così i maggiori costi dell’elettrificazione dei consumi. Scaldacqua elettrici e pompe di calore sono oggi apparecchiature disponibili a costi contenuti. E oggi, grazie alla domotica e agli elettrodomestici smart, è possibile automatizzare e aggregare comportamenti utili al portafoglio e virtuosi per la tenuta del sistema elettrico. Terzo: capire che non basta la buona volontà per trasformare un intero sistema economico. Ci vogliono cautela, chiarezza e attenzione alle conseguenze inintenzionali. Come diceva Milton Friedman, le politiche non vanno valutate per le loro intenzioni, ma per gli effetti che producono: la Commissione Ue dovrebbe abbandonare la deriva da Stato imprenditore e concentrarsi sulla riduzione delle emissioni di CO2 e sul sostegno alle famiglie a basso reddito e ai settori industriali “hard to abate” che rischiano di subire gli impatti peggiori. Scegliere quale mix di tecnologie può condurre all’obiettivo ambientale richiede la fantasia e l’efficienza dei mercati, non gli schematismi e la miopia delle burocrazie.

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