(Ansa)

Le richieste

Le fusioni che mancano per risolvere i guai delle tlc europee. La lettera di 13 ad

Mariarosaria Marchesano

Le maggiori compagnie telefoniche del continente stanno facendo quadrato per affrontare i nodi che negli ultimi vent'anni hanno generato una crisi strutturale nel settore. Ma Telecom Italianon fa parte di questa piattaforma

Mentre in Italia la vicenda Telecom si complica, tra l'emersione di un potenziale piano alternativo alla proposta del fondo americano Kkr e le esternazioni del garante del M5 Stelle Beppe Grillo, che sul suo blog definisce “irrealistico” lo scorporo della rete e la fusione con Open Fiber, le maggiori compagnie telefoniche europee stanno facendo quadrato per affrontare i nodi che negli ultimi vent'anni hanno generato una crisi strutturale nel settore. E tra queste compagnie non compare Telecom – pur avendo problemi comuni ai suoi competitor – alle prese com'è con gli stravolgimenti che da questa fase potrebbero derivare sia al suo assetto societario. L'ex monopolista italiano, infatti, è il primo ad affrontare una tale prospettiva, anche se i recenti rumors di un'opa su British Telecom da parte di un gruppo indiano, poi smentite, farebbero pensare che qualcosa si sta muovendo nell'orizzonte delle tlc europee, fiaccato da un indebitamento elevato e da scarsi margini di profitto.

 

Ma proprio per questo colpisce l'assenza di Telecom da una piattaforma sul futuro del settore ampiamente condivisa a livello europeo. Sono tredici, infatti, i ceo di altrettante società telefoniche che hanno chiesto un’applicazione più leggera delle regole di concorrenza per consentire la creazione di compagnie più grandi in modo da riequilibrare i rapporti di forza con i giganti della tecnologia globale. In un appello del 29 novembre, sottoscritto, tra gli altri, dai numeri uno di British Telecom (Philip Jansen), Deutsche Telecom (Thimoteus Hottges), Orange (Stephane Richard) e Telefonica (Josè Maria Alvarez Pallete), ma in cui non compare la firma del ceo di Telecom Italia, Luigi Gubitosi, che proprio a fine novembre ha lasciato le deleghe, viene messo in discussione un modello che non consentirebbe alle tlc europee di essere abbastanza competitivo.

 

Le richieste sono essenzialmente tre: meno regolamentazione sui prezzi; stop alle aste sulle frequenze che ne fanno lievitare i prezzi alle stelle; creazione di un ecosistema digitale europeo in grado di competere con i giganti globali. Ma è quest’ultimo punto il più importante. Il ragionamento che fanno i tredici amministratori delegati è il seguente: una parte consistente del traffico di rete è generata e monetizzata da grandi piattaforme tecnologiche, ma richiede investimenti continui e intensivi da parte delle telecomunicazioni. Questo modello, che consente ai cittadini dell’Ue di godere i frutti della trasformazione digitale, può essere sostenibile solo se le big tech contribuiscono ai costi di rete. Inoltre, dicono gli amministratori delegati, bisognerebbe mettere a punto nuove strategie industriali per permettere all’Unione di competere con successo a livello globale e sviluppare un’economia dei dati basata su veri valori europei.

 

In sintesi, c’è bisogno di un settore delle telecomunicazioni più forte. Ora, chi conosce le dinamiche dei rapporti tra imprese e autorità europee per la concorrenza, assicura che simili appelli ne sono stati già fatti in passato e senza grandi risultati perché le normative attuali vanno in direzione opposta a quella di un consolidamento del settore. È anche vero, però, che la competizione con le big tech ha posto problemi che prima non esistevano. E comunque, sarebbe interessante sapere cosa pensa di questi temi anche Telecom Italia, che è la prima compagnia, tra gli ex monopolisti, a essere stata messa nel mirino dei giganti del private equity. La differenza più profonda con i competitor europei sta probabilmente nella infrastruttura di rete, il cui scorporo e valorizzazione in Italia è avvertito come un passaggio strategico e negli altri paesi, invece, non se ne discute neanche. Intorno a questo punto ruotano gli interessi dei diversi schieramenti in campo (Kkr con il suo esercito di banche finanziatrici e advisor pronti a lanciare un'opa su Telecom, da un lato, e l'asse Vivendi-Cdp che si starebbe formando, secondo le ultime indiscrezioni di stampa, dall'altra parte). Ma da ieri c'è anche la posizione di Grillo che sul piano politico potrebbe avere un suo peso.

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