l'appello di Cna 

Per aiutare le piccole imprese serve più concorrenza

Claudio Di Donato e Mario Pagani

Diversi fattori contribuiscono alla debolezza delle piccole medie imprese in Italia e in Europa. Servono politiche mirate che ne favoriscano la crescita e lo sviluppo

Tra la comparsa della variante Omicron e il dibattito sulla manovra, è passata quasi inosservata la decisione della Commissione Europea di prorogare al 30 giugno 2022 il Quadro temporaneo degli aiuti di stato e di adeguare i massimali di aiuto per far fronte agli effetti prolungati della crisi generata dalla pandemia, promuovendo l’attivazione di strumenti volti a sostenere investimenti per una ripresa sostenibile e la solvibilità delle imprese.  Nelle intenzioni della Commissione, la proroga, pur limitata, delle misure adottate con il “Temporary Framework” dovrebbe garantire il sostegno necessario alle imprese che risentono ancora degli effetti della crisi, affinché non siano improvvisamente private del sostegno necessario. Le nuove misure di sostegno agli investimenti per una ripresa sostenibile e alla solvibilità dovrebbero, invece, rispondere meglio alle esigenze delle imprese.

 

Strumenti quindi orientati al futuro, ma sempre la Commissione segnala l’esigenza di attenuare il rischio di insolvenza delle imprese potenziando misure che favoriscano la ristrutturazione del debito. Alla luce della Comunicazione della Commissione, gli Stati membri possono ora considerare la possibilità di prorogare le misure di aiuto esistenti fino al 30 giugno 2022, consentire la ristrutturazione o la conversione di alcuni strumenti fino al 30 giugno 2023, nonché introdurre nuove misure a sostegno degli investimenti verso una ripresa sostenibile fino al 31 dicembre 2022 e nuove misure di sostegno alla solvibilità fino al 31 dicembre 2023.

 

All’assemblea annuale del 10 dicembre CNA rinnoverà la richiesta al governo e al Parlamento di prorogare le misure già esistenti e di mettere a punto anche nuovi strumenti di aiuto, soprattutto per supportare i settori particolarmente colpiti dalla crisi ma anche per disegnare una nuova strategia orientata a creare un clima favorevole per le imprese. La proroga decisa dalla Commissione insieme alla sospensione del Patto di stabilità confermano come la profonda crisi provocata dalla pandemia abbia messo in discussione l’intera impalcatura fiscale europea e anche gli ingranaggi della governance istituzionale. Per la CNA ridurre il confronto sulle regole europee ad una questione di parametri sarebbe miope e provocherebbe disastri, limitando la discussione a criteri quantitativi e temporali per il ripristino sic et simplicter di regole complicate e capaci di innescare una spirale viziosa tra austerità e recessione.

 

La lenta e, spesso, confusa costruzione dell’edificio europeo non riguarda soltanto le regole fiscali ma tocca in profondità gli ingranaggi del mercato senza una coerente visione d’insieme. I principi della stabilità finanziaria e della tutela della concorrenza sono affidati a istituzioni tra loro indipendenti (l’Eba e l’Antitrust) senza prevedere meccanismi di coordinamento. Il risultato è un vulnus nella governance politica, l’assenza di chi e come possa orientare il pendolo per affermare il primato dell’uno o dell’altro quando le esigenze di stabilità finanziaria contrastano con le norme sulla concorrenza. L’architettura istituzionale europea nel complesso ha esaltato il debito come vizio capitale ma ignorato la virtù dell’innovazione e la necessità di creare un contesto favorevole allo sviluppo delle imprese.  

 

Una interessante analisi dell’Economist mostra che tra le 142 imprese con una capitalizzazione superiore ai 100 miliardi di dollari circa un terzo è stato fondato meno di mezzo secolo fa e nemmeno una appartiene a un paese dell’Unione Europea. Uno studio della Federal Reserve rileva che quasi il 40% del Pil degli Stati Uniti è generato da imprese con meno di 30 anni. Numeri che dovrebbero cancellare definitivamente il luogo comune secondo cui sia l’eccessiva presenza di piccole imprese in Europa, e in Italia in particolare, a impedire la crescita di grandi gruppi, confondendo cause ed effetti.

 

Le cause profonde invece sono il mancato completamento del mercato interno, la timidezza nell’incoraggiare la concorrenza interna, una protezione insufficiente rispetto a posizioni dominanti esterne all’Ue, la bassa domanda pubblica su settori strategici come il digitale nel quale primeggia un colosso cinese, paese dove 20 anni orsono meno del 5% della popolazione aveva un conto corrente. Al contempo, vanno perseguite politiche mirate per le piccole imprese, supportate da misure specifiche, volte a favorirne la crescita e lo sviluppo. Le risorse del Recovery Fund sono preziose ma stanno distogliendo l’attenzione da questioni rilevanti sul futuro dell’Ue. Non saranno il posizionamento dell’asticella del rapporto debito/pil, il tempo concesso per il rientro nei parametri a indicare se la filosofia dell’austerità sarà stata pensionata per il bene dell’Europa.

 

 

(Claudio Di Donato e Mario Pagani fanno parte del dipartimento Politiche industriali di Cna)

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