l'analisi

Perché il crollo di diesel e benzina è una brutta notizia per l'auto elettrica

Luca Michele Piscitelli

Mettere al bando i veicoli tradizionali può avere un effetto controproducente per l'elettrificazione: è con queste vendite che le case automobilistiche generano i margini per finanziare gli investimenti nei motori a batteria. Parla Duse (Alix Partners)

Per produrre più auto elettriche occorre continuare a vendere auto a benzina e diesel. È il paradosso della transizione nel settore automotive: da qui al 2026 le case automobilistiche hanno annunciato più di 300 miliardi di dollari di investimenti nella mobilità alla spina ma le risorse necessarie per la “rivoluzione elettrica” non possono arrivare solo dalla vendita di auto ricaricabili.

 

È una questione puramente economica. Le auto 100 per cento elettriche, Bev (Battery Electric Vehicle), oggi hanno margini di profitti estremamente bassi per i produttori, se non addirittura negativi. In poche parole, la maggior parte di queste – Tesla esclusa – vengono vendute in perdita e non generano guadagni da reinvestire nello sviluppo e nella produzione di nuovi modelli elettrici. “Almeno per i prossimi cinque anni il giro di affari delle case auto sarà ancora prevalentemente legato a veicoli a benzina e diesel ibridi e non, attraverso i quali generano margini che in parte servono per finanziare gli investimenti nell’auto elettrica”, spiega Dario Duse, managing director di AlixPartners. In tempi non sospetti – era il settembre del 2019 – la società globale di consulenza coniò una locuzione piuttosto emblematica per descrivere il futuro a breve-medio termine del settore automotive: “il deserto dei profitti”. Da un lato le imprese sono chiamate ad affrontare il drastico calo delle immatricolazioni di veicoli nuovi, peggiorato dalla crisi pandemica, dall’altro a programmare ingenti investimenti per adeguare la loro produzione alla transizione verso l’elettrico. 

 

“Il sistema di propulsione elettrica continua ad avere uno svantaggio di costo molto significativo rispetto a uno a combustione interna. Si va dai 7 mila agli 11 mila dollari a veicolo, a seconda del segmento che si considera”. Una differenza ancora rilevante legata a diversi fattori: pesano i volumi ancora ridotti ma anche il costo della batteria e quello delle altre componenti necessarie (motori elettrici, inverter, sistema di gestione della potenza elettrica). Componenti su cui pesa in maniera significativa anche l’aumento generale dei prezzi delle materie prime.

 

L’obiettivo da raggiungere è il pareggio, cioè rendere il costo di produzione di un’auto elettrica pari, o almeno simile, a quello di una a combustione interna. Resta da capire quando ciò potrà avvenire. Uno studio di maggio di BloombergNEF, commissionato dalla ong ambientalista Transport&Environment, stima che il punto di pareggio si potrebbe raggiungere già tra il 2025 e il 2027: 2025 per i veicoli commerciali leggeri, 2026 per le auto di taglia media e 2027 per quelle di taglia piccola. “Individuare una data precisa per il pareggio è difficile – continua Duse – perché varia da segmento a segmento e da veicolo a veicolo. È chiaro però che per i prossimi quattro o cinque anni la maggior parte delle vetture passeggeri a batteria (Bev) difficilmente potrà raggiungere la parità in termini di costo rispetto a quelle con un motore a combustione interna. In casi specifici la parità potrebbe arrivare anche più avanti rispetto al 2027”, sottolinea il managing director di Alix Partners. Fino a quel momento la vendita di vetture a batteria resterà un business con margini estremamente ridotti o addirittura in perdita, quindi non in grado di sostenersi da sola.

 

Per tali ragioni, l’attuale crollo delle vendite di auto nuove, e in particolare di auto a benzina e diesel, potrebbe essere considerato una brutta notizia anche per i più convinti sostenitori della mobilità elettrica nonostante la parallela crescita delle immatricolazioni di veicoli a batteria. Se nel 2017 nel mondo sono state vendute 94 milioni di automobili, nel 2019 quel numero è sceso a 90 milioni. Un calo del 4,3% che si è trasformato in un crollo durante la crisi pandemica, quando a livello globale le case automobilistiche hanno perso ulteriori 13 milioni di vendite (secondo le ultime stime di Alix Partners nel 2021 si dovrebbe risalire a 80 milioni di unità, mentre il ritorno ai livelli pre Covid è previsto solo nel 2024).

 

Una transizione disordinata presenta diversi rischi per i bilanci aziendali e in questo quadro si inseriscono le politiche europee dedicate al settore, come la proposta di phase out da benzina e diesel per auto e veicoli  leggeri entro il 2035 presentata dalla Commissione europea e contenuta nel pacchetto Fit for 55. “Obiettivo giusto nella sua logica ma molto sfidante nelle tempistiche – afferma Duse –. In generale non aiuta, perché spinge i costruttori e i consumatori a spostarsi ancor più velocemente verso una soluzione che oggi non è sostenibile dal punto di vista economico”. “Difficile dare certezze, però esiste il rischio che questa spinta ulteriore di accelerazione verso l’elettrico nel lungo periodo possa peggiorare i conti dei costruttori – aggiunge – i quali dovranno continuare a investire per lo sviluppo: circa 340 miliardi di dollari sono già stati pianificati nei prossimi cinque anni solo per l’elettrificazione”.

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