l'analisi

Cambiare il Reddito di cittadinanza per premiare il lavoro

Luciano Capone

Oltre a Quota 100, il governo studia le modifiche per l'altra misura simbolo del governo gialloverde. Qualche suggerimento su cosa cambiare e come, a partire dalla tassa occulta del 100% sui poveri che lavorano

Oltre che su Quota 100, il governo sta lavorando sull’altra norma-bandiera del Conte gialloverde: il Reddito di cittadinanza (Rdc). A parte i diversi accenti, chi evidenzia più i pregi e chi i difetti, tutti i partiti sono d’accordo sulla linea di fondo: la misura di contrasto alla povertà va mantenuta, ma cambiando ciò che non funziona. Le modifiche riguardano criticità, ormai evidenti e note a tutti, come la scala di equivalenza che penalizza le famiglie numerose e con minori (proprio quelle a maggiore rischio di povertà) e il miglioramento delle politiche attive. Ma il difetto più importante del Rdc, mai abbastanza evidenziato, e su cui il governo sta studiando il modo per intervenire, è la fortissima penalizzazione per i beneficiari che provano a lavorare: una “tassa” del 100 per cento

Reddito di cittadinanza, cosa vuole cambiare il governo

Il Reddito di cittadinanza è infatti disegnato in modo da disincentivare il lavoro che più non si può. Perché se un percettore di Rdc inizia a lavorare, il suo sussidio si riduce di un ammontare pari al salario percepito: in pratica per ogni euro guadagnato lavorando se ne perde uno di sussidio. Se un percettore guadagna 100 euro in un mese ne perde 100 di sussidio e, di contro, se guadagnava 100 euro lavorando e smette di farlo li riceverà attraverso un aumento del sussidio. Ciò vuol dire che per un povero, fino all’ammontare di Rdc trasferito dallo stato, lavorare o non lavorare ha lo stesso valore. O meglio, non lavorare vale di più visto che non necessita di alcuno sforzo. E’ vero che in realtà, in una fase iniziale, in presenza di un aumento di reddito il 20 per cento di esso non viene considerato per la definizione del sussidio nel mese successivo (la tassa è quindi dell’80 per cento, comunque elevatissima), ma si tratta di un “beneficio” transitorio che in molti casi termina dopo qualche mese e, in ogni caso, con la presentazione della successiva dichiarazione Isee. Quindi lo “sconto” sparisce già nel breve termine.


In pratica, attraverso questo meccanismo, ai più poveri viene applicata sul reddito effettivo un’aliquota marginale del 100 per cento: la penalizzazione massima per chi si azzarda a lavorare. E questo disincentivo è tanto più forte nel Mezzogiorno, dove i redditi sono più bassi rispetto al resto del paese e dove, quindi, il salario potenziale che un beneficiario di Rdc potrebbe guadagnarsi sul mercato non è molto più elevato dell’assegno che riceve dall’Inps. Si tratta, con tutta evidenza, di un grande disincentivo all’occupazione. O meglio, di un forte incentivo al lavoro nero che diventa estremamente conveniente oltre che al datore (che non paga i contributi) anche al percettore di Rdc (che non perde il sussidio). Questo meccanismo perverso tende così ad amplificare alcuni dei principali problemi italiani, come la scarsa partecipazione al lavoro e l’economia sommersa, che sono più intensi proprio nel Mezzogiorno dove il sussidio è più diffuso.

La necessità di lavorare sugli incentivi al lavoro

Oltre che agire sui parametri, la modifica più importante del Rdc dovrebbe riguardare gli incentivi. E non bisogna inventare nulla di nuovo, semplicemente prendere esempio dai paesi che da tempo adottano sistemi più efficienti come ad esempio gli Stati Uniti che con l’Earned income tax credit premiano i poveri che lavorano. Oppure il Regno Unito, che con il governo conservatore di Cameron ha introdotto lo Universal credit, un reddito minimo che ha sostituito e unificato i precedenti microprogrammi assistenziali e che prevede un décalage del sussidio che rende  conveniente lavorare: a differenza che in Italia, per un povero britannico all’aumentare del reddito guadagnato aumenta sempre anche quello disponibile. L’aliquota marginale non è del 100 per cento, ma del 63 per cento. E proprio ieri il Cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak, presentando il budget, ha annunciato lo stanziamento di 2 miliardi di sterline per tagliare di 8 punti questa “tassa occulta sul lavoro dei più poveri”. Questo, secondo il governo Johnson, dovrebbe aumentare il reddito disponibile dei poveri stimolando l’offerta di lavoro in una fase di ripresa dell’economia e di scarsità di manodopera.


Una modifica che, oltre a evitare che il Rdc sia una trappola della povertà, rappresenta un cambiamento culturale che spinge i poveri occupabili ad attivarsi per migliorare le proprie condizioni, anche senza aspettare la chiamata di un “navigator” per un’offerta “congrua”. Finora nel dibattito   sul Rdc ha prevalso il moralismo. Sia i proponenti che gli oppositori si sono accapigliati sulla dicotomia sanzioni-furbetti, che in realtà è solo il prodotto di un sistema distorsivo che si autoalimenta: produce più “furbetti” e richiede più “sanzioni”. Ciò che serve al Rdc è un nuovo sistema di incentivi che renda il lavoro attraente e conveniente. Per il governo Draghi sarebbe la politica attiva più semplice ed efficace da realizzare.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali