Il patto che manca tra Colao e Giorgetti per la banda del futuro

Sergio Boccadutri e Carlo Stagnaro

Procede la diffusione della banda ultralarga. Ma serve un programma d'incentivazione a favore dei distretti industriali, centri in cui si produce il 90 per cento del surplus commerciale e arrivano gli investimenti stranieri

La diffusione della banda ultralarga è la pre-condizione per dare sostanza alla trasformazione digitale della società e delle imprese italiane, uno degli obiettivi del Pnrr. Come procede il dossier? Nelle scorse settimane si è conclusa la consultazione pubblica sulla mappatura, attraverso cui il Governo tiene traccia degli investimenti effettuati e programmati dagli operatori. L’esito della mappatura ha inevitabilmente condizionato alcune scelte iniziali, prima tra tutte quante gare fare e come dividere il territorio per attuare il piano. Infatti, sembra ormai tramontata l’ipotesi iniziale di svolgere tante microgare, che avrebbe avuto elevati costi amministrativi e difficoltà di coordinamento. Va sempre di più delineandosi una ipotesi che vedrebbe una decina di bandi, anche – ma non solo - per evitare contenziosi. L’altra ipotesi che sta mettendo le radici è quella di disegnare le gare in modo da favorire i progetti di coinvestimento, quelli cioè che vedono la collaborazione di diversi operatori nella realizzazione di una infrastruttura comune, da rendere poi fruibile a tutti a condizioni non discriminatorie (Il Foglio, 8 ottobre 2020). Per questa via infatti sarebbe garantita non solo una veloce realizzazione delle opere, ma anche il mantenimento di un certo livello di concorrenza e il perseguimento degli obiettivi del piano di intervento pubblico.


Se tali ipotesi prendessero forma ci troveremmo di fatto di fronte all’abbandono definitivo dell’idea della rete unica, che ha affascinato tanti, ma che avrebbe prodotto un “unicum” nel panorama delle telecomunicazioni europee e che alla lunga avrebbe danneggiato il paese, la concorrenza e i consumatori. Progetto diverso da quello di una infrastruttura unica capace però di ospitare reti diverse, con massimo grado di “unbundling” all’accesso.


Il coinvestimento può garantire che, dopo la gara, non si verificheranno, come in passato, casi paradossali e perversi di duplicazione ex-post degli investimenti finanziati con risorse pubbliche. E così potremmo vedere finalmente la fine di una “guerra civile” che ha travolto negli scorsi anni il mondo delle telecomunicazioni. Non è detto che ovunque Tim, OpenFiber e gli altri troveranno il modo di cooperare: in alcuni casi – specie in quelle aree grigie prossime a zone nelle quali uno dei due ha già realizzato investimenti – non potrebbero essercene le condizioni. Ma, in ogni caso, istituire una regola che riporti il conflitto entro il perimetro di un confronto competitivo, nel quale competono diverse architetture di rete e strategie commerciali, chiuderebbe finalmente il lungo periodo nel quale questo scontro ha assunto coloriture politiche e ideologiche, o è stato strumentalizzato a tali fini.


Lo stimolo a partecipazioni alle gare in forma di coinvestimento rende tuttavia necessario da un lato lotti in numero contenuto, dall’altro il superamento di vincolo sul numero di lotti cui si può partecipare (cosiddetti cap). Un numero elevato di lotti e il vincolo di cap, infatti, non solo disincentivano il coinvestimento, ma in questo caso sarebbero dannosi in quanto farebbero perdere eventuali economie di scala (inclusa la necessità di disporre di manodopera qualificata, in tempi brevi, su tutto il territorio nazionale). D’altra parte, i cap sono misure pro-concorrenziali solo in ambiti del tutto diversi (come nel caso delle frequenze per la telefonia mobile dove la scarsità della risorsa richiede vincoli all’accaparramento da parte di pochi, oppure in quello dell’energia elettrica dove l’eccessiva dominanza di un operatore rischia di pregiudicare la qualità della concorrenza). 


Accanto al tema dei bandi sarebbe infine utile concentrarsi su un programma di incentivazione a favore dei distretti industriali, nei quali la connettività, ancora più che per i privati, rappresenta davvero il presupposto ineludibile per la crescita del business e innovazioni del processo produttivo I distretti producono il 90 per cento del surplus commerciale italiano (esclusa ovviamente l’energia). Nei circa 200 distretti vi sono oltre 280 mila imprese che impiegano 2 milioni di lavoratori. Spesso si tratta di realtà virtuose capaci di attrarre investimenti stranieri. Sarebbe utile se i ministri della Transizione digitale, Vittorio Colao, e dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, provassero a mettere in campo un vero e proprio piano per PMI e distretti, riorientando una parte delle risorse pubbliche appostate per la copertura delle aree grigie che sicuramente sopravanzeranno, per connettere direttamente ogni singolo building attivo, seguendo i principi della neutralità tecnologica e puntando quindi ad avere Ftth (fiber to the home, fibra a casa) dove possibile, Fwa (fixed wireless access, collegamento wireless) dove la fibra ottica avrebbe tempi troppo lunghi.