Giancarlo Giorgetti (foto LaPresse)

L'Italia vuole i 5G, Giorgetti no. Guaio da risolvere per Draghi

Stefano Cingolani

Come e perché il ministro dello Sviluppo è diventato il vero ostacolo allo sviluppo della rete 5G in Italia

Tra stop and go, un passo avanti e due indietro, polemiche, bastoni tra le ruote, il 5G, ovvero il protocollo di trasmissione dati di quinta generazione, stenta ancora a prendere il via. Il voto in aula è previsto per la prossima settimana, mercoledì però sono slittate le commissioni parlamentari (Affari costituzionali e Ambiente) che avrebbero dovuto discuterne. Come mai? Il 5G fa parte del Pnrr che vi destina circa due miliardi di euro, Vittorio Colao ha speso la propria credibilità di grande manager delle telecomunicazioni e di ministro, ci crede Mario Draghi.

Anche il ministro della salute Roberto Speranza ha fatto cadere le sue perplessità dopo il parere dell’Istituto superiore della sanità. Ma l’ostacolo principale, a questo punto, viene da Giancarlo Giorgetti, secondo quel che trapela dal parlamento. Sì proprio lui, il ministro dello sviluppo economico, l’esponente dell’ala pragmatica della Lega, considerato anche dai suoi avversari un paladino del “partito dei produttori”, sensibile alle esigenze delle imprese e persino degli argomenti confindustriali. Invece, sulla rete mobile di ultima generazione stende la rete del dubbio. Ha cominciato manifestando la sua preferenza per la rete fissa. Poco dopo ha dichiarato che per il 5G ci volevano più fondi e bisognava bloccare le mire cinesi di Huawei. Il governo è ricorso al golden power, la minaccia di Pechino si è allontanata, ma il 5G non s’è avvicinato al cuore del ministro.

 

Un atteggiamento apparentemente paradossale. C’è chi lo spiega con la pressione dei sindaci. Un anno fa il movimento chiamato pomposamente Alleanza italiana stop 5G, aveva ottenuto ben 500 ordinanze di sospensione degli impianti. Niente antenne nuove, ma nemmeno il potenziamento di quelle esistenti. L’allarme sulla “pericolosa deriva elettromagnetica” è “una piscosi immotivata” secondo l’Iss, ma sulle scrivanie dei sindaci di ogni partito sono arrivate lunghe liste firmate da cittadini più o meno eminenti. Tra i più sensibili gli amministratori pentastellati (per ragioni anche ideologiche), seguiti da leghisti (per dar voce al popolo) e piddini (per non restare indietro). Nel corso dei mesi la pressione si è via via allentata, con la pandemia c’era altro per la testa. Ma non solo. 

Il governo Draghi ha scelto nettamente il 5G e ha esercitato con efficacia una strategia del dialogo. Gli irriducibili non mollano, tuttavia il quadro è ben diverso. I grillini non si oppongono più, incassano come un successo di aver ottenuto una velocità di trasmissione inferiore a quella media europea che mette in difficoltà le aziende e gli utenti, ma solletica il pregiudizio. A sinistra da Giorgio Gori sindaco di Bergamo a Eugenio Giani presidente della Toscana si dicono soddisfatti della linea governativa. “Nessun blocco” dice il sindaco di Lecce Carlo Salvemini, mentre il sindaco di Bari Antonio Decaro presidente dell’Anci non si oppone a patto che l’associazione dei comuni abbia voce in capitolo. Super favorevoli i renziani esponenti di Italia Viva che hanno presentato un emendamento per estendere i limiti, portandoli ai livelli europei. A destra il primo cittadino di Genova Marco Bucci candida la sua città a protagonista della nuova rivoluzione tecnologica.

Resta un nucleo duro nel nord est, in particolare nei comuni del triveneto guidati da sindaci leghisti. E’ a queste sacche di resistenza che presta ascolto Giorgetti, timoroso di sfidare una minoranza vociante, anche a costo di colpire l’interesse di fondo dei suoi stessi ceti di sostegno? Il ministro non è un ideologo, tanto meno un fanatico, non si è mai dichiarato apertamente contrario, ed è probabile che alla fine l’impasse venga superato. In ogni caso, il decollo del 5G in Italia resta costellato di mine e trabocchetti. Il rischio è una sorta di guerriglia comune per comune. Ci si oppone all’adeguamento delle infrastrutture esistenti, ma ancor più alla installazione di nuove antenne (secondo le stime del Politecnico di Milano ne servirebbero 19.500), e si fa ricorso al tribunali, alle sovrintendenze, insomma alla grande rete burocratica in grado, in barba alle semplificazioni, di ostacolare la rete del progresso tecnologico.

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