Vittorio Colao, ministro per l'Innovazione tecnologica (Ansa)  

Rete unica o concorrenza?

Stefano Cingolani

I partiti spingono la Cdp a prendere il controllo di Tim e di Open Fiber, ma Draghi punta a delimitare il perimetro statale e preservare lo spazio del mercato. In mezzo Colao, che difendeva il pluralismo delle reti

Tim, Cdp, rete unica, alcuni dei nodi più intrecciati (insieme ad Autostrade, Alitalia e Montepaschi) della intricata matassa che lega in Italia stato e mercato, attendono in questi giorni una soluzione, o quanto meno un filo che consenta di scioglierli. Fino a che punto si terrà conto che la trama è cambiata? Nel suo discorso d’insediamento in Senato Mario Draghi lo ha detto chiaramente: “Il ruolo dello stato e il perimetro dei suoi interventi dovranno essere valutati con attenzione”. Un’affermazione formalmente cauta, ma che non si presta a equivoci. 

 

La concorrenza è un’altra delle priorità indicate dal capo del governo che ha invitato l’Antitrust a presentare al più presto le sue proposte. Il circo politico-mediatico finora ha messo la sordina, ma il M5s continua nella sua campagna affinché il governo, attraverso la Cdp azionista sia di Tim sia di Open Fiber, prenda il controllo della rete e chiede che la Cassa sia l’arma in più per contrapporsi alla Vivendi di Vincent Bolloré. L’ingresso di Giovanni Gorno Tempini presidente della Cdp nel cda di Tim dovrebbe diventare per i grillini la garanzia di questa offensiva statalista a tutto campo. Il Pd sostiene il progetto. Nelle nebbie padane, intanto, si sente ancora l’eco di “prima gli italiani”. E Fratelli d’Italia protesta perché la Cdp si trova “in evidente subalternità rispetto ai francesi di Vivendi”.

 

In realtà non c’è nessuna “guerra telefonica”. I due principali azionisti, Vivendi con il 23,9% e la Cdp con il 9,89% si sono accordati su una lista di dieci nomi sui quindici del cda. Sono confermati il presidente Salvatore Rossi e l’amministratore delegato Luigi Gubitosi. Vivendi è rappresentata dal numero uno Arnaud de Puyfontaine e dal suo braccio destro Franck Cadoret.  Gorno Tempini è la chiave di volta per le strategie future. Secondo la Repubblica, “la rete unica diventa più probabile”, altri osservatori non la pensano così. 


L’intero garbuglio è nelle mani di Vittorio Colao, a lungo top manager di Vodafone, la compagnia che più si batte a favore di una pluralità delle reti contro il ritorno a un predominio di Tim. I due governi Conte erano decisamente favorevoli alla nascita di una nuova società nella quale far confluire il rame di Tim, la fibra ottica di Open Fiber, Fastweb, Infratel-Invitalia, con la Cdp come socio di maggioranza e timoniere. E resta questa la posizione prevalente dei pentastellati. Il sospetto dei grillini verso il 5G aveva spinto il ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli a dividere le competenze: la banda ultralarga fissa a Gianpaolo Manzella e il 5G a Mirella Liuzzi. Mario Draghi ha già detto chiaramente che il 5G è una priorità, il nuovo ministro Giancarlo Giorgetti è d’accordo, anche se molti amministratori leghisti hanno aderito ai comitati No 5G. Una contraddizione interna che Matteo Salvini dovrà risolvere. In ogni caso, anche la Lega è favorevole alla rete unica con il governo azionista di riferimento attraverso la Cdp.

 

Le scelte operative spettano a Colao il quale, quando guidava la commissione istituita da Conte ha puntato sulla coppia fibra ottica più 5G, lasciando aperta l’opzione sulla società della rete. Non resta che attendere. 
Una prima urgenza è sbloccare il bando di gara per le “aree grigie”, quelle in cui si può contare sulla rete di un solo operatore privato e dove c’è un’alta concentrazione di imprese. Ci sono poi da rivedere i voucher per spingere la domanda. Sul piano burocratico Colao dovrà decidere che fare del Cobul, il Comitato governativo per la banda ultralarga. Ma il problema numero uno riguarda le risorse. In audizione alla commissione Trasporti della Camera, Pietro Guindani, presidente di Asstel, l’associazione di categoria aderente alla Confindustria, ha fatto i conti. A suo avviso occorrono dieci miliardi di euro, invece agli investimenti per le connessioni veloci, tra fibra ottica e 5G, il Recovery plan assegna 4,2 miliardi, solo 2,2 miliardi in più rispetto a interventi già programmati. Colao e l’intero governo, dunque, dovranno riscrivere anche questo pezzo importante del piano. 

 

È vero che le telecomunicazioni se la sono cavata durante questa pandemia, ma non sono tutte rose e fiori. Il 2020 si è chiuso con ricavi di 15,81 miliardi con un calo del 12%; In flessione anche il margine operativo lordo, che è passato da 8,15 miliardi a 6,74 miliardi di euro (-17,3%). L’utile netto attribuibile ai soci è 7,22 miliardi di euro rispetto ai 916 milioni del 2019, grazie all'iscrizione di imposte differite attive (5,89 miliardi di euro). L’indebitamento finanziario netto al 31 dicembre 2020 si è ridotto di 4,342 miliardI, attestandosi a 23.326 miliardi. La borsa ha reagito positivamente e il titolo ha guadagnato quasi il 7% in apertura. 

 

Ora la Tim ha messo il piede sull’acceleratore nella battaglia dei contenuti alleandosi con Dazn e sfidando apertamente Sky sul campionato di serie A. L’accordo, condizionato all’aggiudicazione della gara, offre un sostegno di 340 milioni di euro che porta l’offerta della compagnia britannica a 840 milioni. Sky, che negli ultimi 18 anni è stata la regina del calcio televisivo, ha una concorrente agguerrita. Per Tim, che dal 2019 ospita già la app di Dazn, si tratta di una risposta alla sfida lanciata da Sky entrando nella banda larga con Sky Wifi che utilizza la fibra di Fastweb e Open Fiber. Insomma, un duello senza esclusione di colpi all’insegna della concorrenza condotta sulla polpa del traffico e degli abbonati: il calcio, il più grande (o quanto meno più popolare) spettacolo al mondo. Milan-Inter ha avuto 2,2 milioni di spettatori la metà dei quali su Dazn in streaming, l’altra metà sul satellite. Se non ci fosse stato questo supporto, la domanda avrebbe superato ampiamente l’offerta, un’altra prova che la rete internet oggi è insufficiente. Ciò rende ancor più importante la partita che si gioca sulla banda larga o ultra larga, fissa e mobile.

 


La prossima puntata riguarda Open Fiber. La Cdp ha deciso di non esercitare la prelazione sul 40 per cento che Enel venderà a Macquarie e di non far valere il suo diritto di gradimento al fondo australiano. In questo modo la Cassa potrà trattare direttamente con Enel per avere almeno il 51 per cento e poi discutere con il socio di minoranza la nomina dei vertici (l’ad spetterebbe in tal caso a Cdp). A quel punto si aprirà il tavolo maggiore attorno al quale siedono la Tim, titolare della rete in rame, che ha fatto confluire quella parte che collega le centraline alle case in Fibercop (società costituita con Fastweb e il fondo KKR), e la stessa Cdp rappresentata dal presidente Gorno Tempini con i suoi due cappelli: quello della nuova Open fiber e quello di azionista Tim. E la competizione? I fan della rete unica sostengono che vale solo per i servizi, tuttavia la rete resterà aperta senza discriminazioni. I contrari paventano il ritorno del monopolista se non una nazionalizzazione surrettizia con tanto di salvataggio della Tim alleggerita di debiti e dipendenti. A quale costo per la Cdp e l’azionista Tesoro? Colao e il governo nel suo insieme avranno il compito di mettere ordine a scelte compiute finora su linee per lo più divergenti, combinare la rete fissa e la nuova rete 5G, salvaguardare la concorrenza, perché solo questa va a vantaggio degli utenti.