Foto LaPresse - Andrea Campanelli

Il piano B di Iveco

Mariarosaria Marchesano

La quotazione, l’incognita del mercato e quelle risposte che mancano dal governo

La mancata vendita di Iveco al gruppo cinese Faw Jiefang è stata accolta con soddisfazione dal ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, e anche dal suo omologo francese, Bruno Le Maire, visto che il produttore italo-americano di automezzi pesanti controlla il costruttore di autobus d’Oltralpe Heuliez. La tutela dell’interesse nazionale ha prevalso, dunque, sulle ragioni del mercato perché Iveco produce beni strategici per entrambi i paesi e la cessione ai cinesi (che avrebbe comportato un trasferimento di tecnologie avanzate impiegate anche nel settore della difesa) è stata guardata sin dall’inizio con sospetto dai governi di entrambi i paesi al punto che Palazzo Chigi ha minacciato di invocare il potere speciale della golden power per bloccare la trattativa. Non ce n’è stato bisogno perché Cnh Industrial (gruppo Exor) ha rinunciato all’affare e ai 3-3,5 miliardi che Faw sembrava disposta a pagare. Un passo indietro che è stato preso male dagli investitori ma non malissimo perché lunedì il titolo Cnh ha perso il 4,5 per cento a piazza Affari e il 4 per cento a Wall Street, che rappresenta solo una piccola parte del guadagno messo a segno dalla società da inizio 2021 e cioè da quando si sono fatte insistenti le voci sulla possibile cessione di Iveco o di una sua divisione alla Faw.

 

Chi conosce, infatti, l’approccio strategico dell’azionista che è a capo della catena di controllo, e cioè la finanziaria della famiglia Agnelli, sa bene che esiste una lunga tradizione di valorizzazione di marchi che la casa torinese ha collezionato nella sua storia industriale che passa attraverso lo spin off dalla casa madre e la relativa quotazione in Borsa. Soprattutto se, ed è questo a quanto pare il caso, Cnh in realtà non fosse convinta del prezzo che Faw voleva pagare per comprare Iveco. Adesso scatterà un piano B, che, secondo l’opinione di alcuni analisti che stanno seguendo il caso, è sempre esistito e sarà messo in atto all’inizio del 2022. Prevede la scissione di Iveco da Cnh e la sua relativa quotazione in Borsa che punta a far leva sui vantaggi che i mezzi su gomma trarranno dalla diffusione di trasporti  e soluzioni infrastrutturali più verdi in linea con il green deal dell’Unione europea. Inoltre, la società punta a beneficiare anche di alcuni incentivi legati allo sviluppo dei propulsori a idrogeno che potrebbe implementare.

 

Certo, nell’ottica di una multinazionale come Cnh – che progetta, produce e commercializza macchine per l’agricoltura e le costruzioni, veicoli industriali e commerciali, autobus e mezzi speciali, oltre a motori e trasmissioni, e a propulsori per applicazioni marine – la cessione di un asset non più strategico ai cinesi sarebbe stata la strada più semplice da seguire, ma in questo caso il processo di mercato farà comunque il suo corso e nulla potrà impedire – quando Iveco sarà quotata Borsa  – che anche un investitore cinese possa entrare nel capitale. Certo, il controllo resterà nelle mani di Cnh-Exor ma con una società ormai contendibile tutto potrà accadere. La domanda che ci si potrebbe porre a questo punto è: quanti hanno le spalle larghe come Cnh-Exor per rinunciare alla vendita di una società, i cui proventi potevano essere reinvestiti per sviluppare altri business, senza fare una piega, o quasi, e trovando una soluzione alternativa altrettanto soddisfacente? Il ministro leghista Giorgetti ha detto chiaramente che il golden power potrà essere esteso a filiere industriali che finora sono state escluse. Ma non ha detto se e come si impegnerà a trovare un piano B alle imprese che saranno costrette a rinunciare a un’operazione (strategica per loro) rischiando l’osso del collo.

 

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