L'avvocato fuoriserie

Michele Masneri

Amatissimo e imitatissimo, o detestato. Simbolo di un’Italia internazionale e vincente o sovrano frou frou. Cosa resta di Gianni Agnelli a un secolo dalla nascita. La vita, la Fiat, la famiglia, il calcio. E adesso la serie tv della nipote  Ginevra Elkann. Un dizionario minimo

Industriale, dandy, collezionista, playboy, rappresentante di un mondo perduto o addirittura “uomo del Rinascimento”: su Gianni Agnelli, di cui cade in questi giorni il centenario della nascita (1921-2021) si è detto molto, forse anche troppo: amatissimo e imitatissimo, oppure detestato; simbolo di un’Italia internazionale e vincente per alcuni, sovrano frou frou rappresentante di un para-stato ingombrante per altri. Di sicuro rilevante e come si dice oggi, “divisivo”. Cosa rimane di Agnelli, a cent’anni dalla nascita e a quasi venti dalla morte? Ecco un piccolo dizionario per scoprire qualche cosa in più su “l’Avvocato” – così era chiamato, anche se non aveva mai esercitato la professione forense – e sulla famiglia Agnelli, tra automobili, letteratura, cinema, tic, aneddoti.

  
Auto
L’Avvocato si occupò magari non tantissimo  di macchine, almeno dal punto di vista industriale. Eppure gli piacevano, e  la sua esistenza ne fu circondata, fin dalle origini, com’era destino; dalla baby Bugatti degli anni Trenta alla Ferrari Barchetta dei  Cinquanta, alle Panda 4x4 che aveva in ogni sua casa, alla Lancia Thema limousine, unico modello non destinato al Quirinale, e su cui scorrazzò Madonna per il suo tour italiano del 1987; ancora,  alla Fiat 130  station  col portapacchi di midollino alla 125 S blu con targa un po’ bulla “Torino A00000”.

  

1996, Agnelli e Michael Schumacher ad Imola durante la visita di Agnelli all'autodromo Enzo e Dino Ferrari 
  

Calcio
Vera passione, business, ma soprattutto uno dei terreni preferiti per l’attività battutistica, che era a livelli agonistici, e costituiva un mezzo di immedesimazione con gli italiani, una comunicazione diretta e immediata in tempi pre-twitter. Platini? “L’abbiamo comprato per un tozzo di pane e lui ci ha messo sopra il foie gras”. Lippi? “Il più bel prodotto di Viareggio dopo Stefania Sandrelli”. “I calciatori scarsi guadagnano troppo, quelli buoni mai abbastanza”.

Cameriere
Solo loro si innamorano.

Capote
Truman. Spesso ospite di casa. Un po’ per diletto e un po’ per produrre reportage su su lussi torinesi strabilianti per un paese, l’Italia, che si considerava marginale e agricolo (e invece a corso Matteotti, la prima residenza Agnelli a Torino, ecco biancheria da camera cambiata eccezionalmente spesso e pulsanti in ogni dove per chiamare personale assai sollecito e copioso). Gianni e Marella saranno poi immortalati nel Ballo in bianco e nero, il famoso Black and White Ball che Capote tenne per festeggiare una specie di suicidio sociale il 28 novembre 1966 al Plaza di New York in onore di Kay Graham, storica editrice del Washington Post; e spesso ospite della famiglia torinese in barca nel Mediterraneo. A bordo, Capote produceva articoli per grandi magazine americani,  per lettrici americane avide di dettagli: raccontava di un “Prince Adolfo Caracciolo” che è zio di Marella, un “charming tycoon from Washington D.C” che non si sa chi sia. Qualcuno si chiedeva “Da dove vengono questi meloni fantastici”. E una dama americana molto informata su dinastie e 740: “Ma come, i Mellons sono di Pittsburgh”. Anche, Capote registrava la presenza di una giovane Allegra Caracciolo, “una vera ninfa marina, sempre coi capelli bagnati, a qualunque ora”. La ninfa marina poi sposerà Umberto (vedi).

Caracciolo
Casato principesco parente. Tra i fratelli di Marella Carlo, “editore fortunato”, secondo il titolo di una bella biografia scritta insieme a Nello Ajello  (Laterza, 2005). Secondo la leggenda, uno dei pochi uomini invidiato da Gianni, perché nonostante la blasonatura pesante aveva anche doti imprenditoriali non comuni.

 

La famiglia, i rivali, le leggende. I giornali, uno dei grandi amori di Gianni Agnelli. Le case: a Roma con i Balthus alle pareti. Edoardo, nome del padre e del figlio. Il mito resistente che alla sua tavola si mangiasse poco. 

 
Carandini-Albertini
Palazzo. Di fronte al Quirinale (ma più alto). Casa romana di Gianni (e, sotto, a un certo punto, di Susanna). Della famiglia del direttore del Corriere della Sera e del primo presidente dell’Alitalia, poi archeologi, ecc. Comunque i migliori pedigree liberali e antifascisti. Per questo si dice che il Duce avesse fatto costruire accanto il palazzo Inail all’immaginifico architetto Brasini, per impallargli la vista. 

Carta
Uno dei grandi amori agnelleschi, che pare essere stato tramandato ai nipoti. Possesso della Stampa di Torino e per un po’ del Corriere, e oggi, di nuovo, il gruppo Gedi (Repubblica e Stampa). Alla domanda: cosa vorresti mai essere se non fossi il più grande industriale italiano, rispose: “Giornalista”.

  
Case
Torino, Villar Perosa, New York, Marrakesh, Corsica, Gstaad. Hanno avuto una parte importante nel mito. Grande lavorio continuo per costruirle, cambiarle, arredarle. A Roma: saloni altissimi, travertino come se non ci fosse un domani, e  giganti Balthus pieni di giovinette e gatti. Tanto plexiglas, e un letto tutto di pelle nera per Gianni. 

 
Cibo
Una delle leggende sull’Avvocato voleva che si mangiasse pochissimo alla sua tavola, ma i più smentiscono. Confermato invece che odiasse sedervi a lungo. Girava la storia di Mike Bongiorno che, invitato a pranzo, chiede un cachet (perché abituato così); l’Avvocato non fa una piega, ma poi quando il presentatore si presenta, gli fa trovare  un tavolino per lui solo, accanto a quello del padrone di casa e degli ospiti; “Tanto lei è pagato”. O la prestigiosa ministra arrivata a colazione in ritardo da Roma, che si ritrova un toast e l’Avvocato che si scusa molto perché “c’è il mio football” cioè la partita in tv, e se ne va. In un libretto encomiastico scritto dai marinai di casa,  pranzi in barca composti esclusivamente da gran fritture di alici; e però Truman Capote rilevava che a bordo con Agnelli si mangiava invece troppo (“per colpa della pasta sono ingrassato due chili e mezzo”). E la nipote Ginevra Elkann, una volta, al sottoscritto: “Non so perché resiste ancora questo mito che a casa Agnelli non si mangiasse. L’ho sentito anche  in una vecchia intervista a Alberto Sordi. Raccontò che, invitato a pranzo da mio nonno,  arrivò solo una foglia d’insalata, e lui dovette chiedere un piatto di spaghetti. Posso assicurarle che si mangiava eccome. C’era molto il gusto della cucina dai miei nonni, anzi. Poi forse in certi periodi saranno stati a dieta, ecco”.


De Benedetti
Carlo. Ammiratore. Rivale. Tentò, da amministratore delegato, di prendersi la Fiat (nei celebri “cento giorni”). “A quei tempi Agnelli era affascinato dall’intraprendenza, dal dinamismo, ma soprattutto dall’immagine di successo del giovane imprenditore”, scrive Giorgio Garuzzo nelle sue memorie “Fiat, i segreti di un’epoca” (Fazi editore). De Benedetti aveva allora solo quarantuno anni. “Ci accorgemmo che stava succedendo qualcosa perché l’Avvocato non era al vernissage della Juventus a Villar Perosa, come ogni anno”, raccontò all’epoca un giovane Ezio Mauro sulla Gazzetta del Popolo di Torino.
 
All’epoca i nemici – guidati da Cesare Romiti – dissero che CdB si era talmente innamorato dell’azienda da volerla tutta per sé, preparando in realtà una scalata. Seguì la cacciata. Cdb si prese poi un  amore agnellesco, Silvia Donà dalle Rose già Monti. 

 

Edoardo
Nome sia del padre, che del figlio di Gianni. Entrambi finiti tragicamente. Il primo muore nel 1935 in un incidente aereo tornando da Forte dei Marmi in idrovolante, colpito dall’elica. Il secondo gettandosi da un cavalcavia della Torino-Savona il 15 novembre del 2000. Sfortunato e infelice, il predestinato impossibile alla successione, scalzato prima da Giovannino (Giovanni Alberto, figlio di Umberto e Antonella Bechi Piaggio) e poi da John alla guida di un impero che gli pareva naturalmente destinato: studioso d’Islam, grande viaggiatore, perduto nei suoi paradisi artificiali, frutto e risultato estremo di un certo perfezionismo cinico e monomaniaco dei genitori Gianni e Marella. Ci sono tutte delle teorie complottistiche su Edoardo che lo vorrebbero vittima della solita lobby pluto-giudo-massonica, e martire islamico. Oggetto di piccoli culti nel mondo arabo. 

 
Elkann
Il nuovo nome della famiglia. Il padre di Alain, Jean Paul, presidente dell’azienda di profumi Caron, era il capo della comunità ebraica di Parigi. Si dice che Agnelli volesse far cambiare cognome all’erede John, ma poi non ve ne furono le condizioni. 

Fabbri
Dino. Editore, amico dell’Avvocato; aveva appena comprato una Rolls fiammante, “bella macchina. Ma che interni di merda”, il commento di Gianni. E lo convince che una macchina non è veramente degna se non ha, al posto dei sedili di serie, delle vere poltrone Luigi XVI (e il povero Fabbri eseguì).

Film
Da tutta la saga agnellesca pochissimo è filtrato fino al cinema, inopinatamente. Certo c’è “Il pezzo mancante”, regia di Giovanni Piperno (Rai Cinema, 2010), cui modestamente si collaborò, con Gelasio Gaetani  in cerca della verità sull’amico Edoardo (vedi), tra costellazioni familiari e chiacchiere con Taki Theodoracopulos, miliardario e playboy greco-americano nonché corrosivo columnist dello Spectator. E   Afdera Franchetti, figlia dell’esploratore Raimondo, amica di Hemingway e moglie di Henry Fonda. E Klaus von Bülow, amico di passeggiate newyorchesi dell’Avvocato nonché protagonista del famoso “mistero”. E ancora Marellina Caracciolo, Ira Fürstenberg, Giovanni Sanjust. E il primo sindaco comunista di Villar Perosa, che confessò la nostalgia per le pale di un certo elicottero. 

Poi venne “Agnelli” di Hbo, polpettone patinato del 2017, non molto interessante.  Il film, diretto da Nick Hooker e con produttore esecutivo Graydon Carter, ex direttore di Vanity Fair Usa, è parecchio  agiografico, con tanto materiale nuovo fornito evidentemente dalla famiglia. Avrà soddisfatto i fans: ci sono filmati per feticisti di interni a Villar Perosa con tutti i Balthus, interviste al fondamentale scrittore di ricchi Bob Colacello, più tutti i refusi deliziosi di quando l’America parla dell’Italia. Non può mancare la citazione del “Gattopardo”, “cambiare tutto perché non cambi niente” attribuita a Giuseppe di Lampedusa (Tomasi salta), qualche Rattazzi nei sottopancia diventa Ratazzi con una sola T, mentre di tutti si omettono i titoli tranne che di Nicola Caracciolo, storico e cognato, di cui salta fuori un “don” nobiliare da Due Sicilie (mentre gli utenti più sprovveduti penseranno a un sacerdote). Il fondamentale allievo di Russell Page, Paolo Pejrone, diventa invece solo “the gardener”.  Ci sono le due sorelle superstiti, Maria Sole e Cristiana, una rugosissima e divertita, l’altra con la faccia spianata e quasi senza bocca. E’ anche un notevole campionario d’acconciature e parrucche. Lee Radziwill, sorella di Jackie Kennedy, con in testa una cofana tipo plum cake marmorizzato, che pronuncia alcune frasi incomprensibili sul fatto che “Gianni” chiamasse sempre al mattino presto (vabbè). C’è Valentino Garavani sublime e carbonizzato, con alta capigliatura leonina, che si inchina ad Agnelli maestro di stile. Ci sono personaggi mai sentiti e probabilmente mitomani, una mrs. Jackie Rodgers degli anni giovanili, modella, che ripete tutto il tempo che Gianni era un cocainomane e che purtroppo di ricchi così non ne fanno più, oggi, perché i ricchi di oggi sono troppo impegnati a fare soldi invece che divertirsi. Storie inverificabili, tipo: “Sapevo che stava al Grand Hotel con Anita Ekberg e che non chiudeva mai la porta. Entrammo: la stanza era in penombra, c’era una musica di sottofondo e lui e Anita erano a letto, nudi. Lei urlò per cacciarci dalla stanza, con quel petto enorme che ballonzolava su e giù. Ma la cosa più bella è che, il giorno dopo, Gianni mi chiamò per dirmi che si era divertito e che la nostra sorpresa gli era piaciuta tantissimo”.

Altre probabili mitomani: una signora Anna Mucci mai sentita prima che posa sotto un suo proprio ritratto giovanile per essere più plausibile, e sostiene che l’Avvocato l’andasse a prendere in veliero per portarla a Capri, col sottopancia “former mistress”, mah. Una signora Marina Branca amica di scorribande di Gianni e Marella, che teorizza un manifesto per tante mamme e famiglie che si portano i bebè in ogni dove, al bar e in ufficio e in ristorante: “I bambini non li vedevamo mai! Eravamo troppo impegnati a divertirci! Eravamo as-sen-ti!”, dichiara senza remore. C’è il maggiordomo inglese, Stuart Thornton, che racconta il suo coming out con l’avvocato. Quando lascia la moglie per mettersi con un giovanotto, la prima persona a cui lo dice è il suo principale, perché “abitando a casa sua, mi sembrava giusto”. L’Avvocato apprende la notizia apparentemente impassibile, ma poi corre a telefonare al suo amico duca di Beaufort per scatenare subito dei gossip globali. Si sa che, come le biografie (almeno una dozzina soppresse). moltissime sceneggiature di film e fiction agnellesche vennero bloccate dalla famiglia. A partire da quella (scritta da Mauro Bolognini) per “Vestivamo alla marinara”, non gradita all’Avvocato.

 
Adesso Ginevra Elkann, sorella di John e Lapo, che fa la regista e vive a Roma, ha appena annunciato una serie sulla famiglia Agnelli dal punto di vista delle donne di casa. Sarà prodotta da Virginia Valsecchi e da  Lorenzo Mieli, che si è già occupato anche del primo film da lei diretto, “Magari” (2020), racconto piacevolmente intimo di tre ragazzi molto déracinés con un padre sceneggiatore farfallone che assomiglia un po’ ad Alain Elkann e una mamma assai religiosa che sembra  Margherita Agnelli, rinchiusi d’inverno in una villa a Sabaudia (“Ho fatto Vestivamo alla montanara. Con tutti quei bambini in moon boots”).

  

Il cinema, la stanza al Grand Hotel con  Anita Ekberg, le sceneggiature e le fiction mai realizzate.  Il fratello dimenticato. Il rampollo designato a continuare la dinastia. La moglie, il cigno di Capote. Il memoir di Susanna, educazione sentimentale fra Torino e la Versilia. L’ultima spiaggia democratica

   
Fürstenberg
Una parte importante nella mitologia agnellesca è data dalla politica matrimoniale. Il miglior matrimonio fu quello di Clara che sposò un principe Fürstenberg contribuendo così alla notorietà del cognome in Italia.  Così, “A Capodanno siamo dai Fürstenberg”, dice la signora Covelli nel primo “Vacanze di Natale”. Dei figli, Egon morirà giovane di Aids. Ira, attrice, farà l’infermiera dell’avido chirurgo Azzerini in “Il medico della mutua” di Sordi. Ma prima, quando il marito principesco di Clara aveva chiesto un posto alla Fiat, il vecchio Senatore Agnelli aveva risposto: “E’ un principe? Che faccia il principe”, quindi niente posto.

  

Gianni Agnelli e Shimon Peres durante la cena degli industriali a Cernobbio, in una foto del 5 settembre 1999. ANSA/PINO FARINACCI 
   
 

Giorgio
Il fratello di Gianni dimenticato e rimosso. Con problemi psichici, pare che avesse sparato anche un colpo, inavvertitamente, al fratello. Per un po’ ebbe come istitutore privato Ettore Sottsass. Secondo Marco Ferrante, all’inizio sembrava solo stravagante. Al ristorante, per esempio, ordinava prima il caffè poi il dolce poi il secondo e poi il primo. Visse in America per un po’, ebbe problemi di droga, finì in una clinica a Ginevra. L’unica sua foto conosciuta è quella di gruppo al matrimonio di Gianni con Marella, al castello di Osthoffen, l’11 novembre 1953 (in tight, molto alto, con baffi).


Giovannino
Giovanni Alberto Agnelli, figlio di Umberto, era l’erede, era il John John Kennedy di Torino, perfetto, belloccio, bilingue, moglie wasp, con vena socialdemocratica. Walter Veltroni ha scritto sul Corriere un ricordo del “mio amico Giovannino”, “era un ragazzo, aveva trentatré anni e un futuro meraviglioso davanti. Era bello, ricco, giovane, simpatico. Gli dèi sembravano essere stati generosi con lui. Ma poi si sono ripresi tutto. Tutto in una volta, con fretta e brutalità”.
Giovanni Alberto doveva essere il rampollo designato non solo a continuare la dinastia ma anche a sanare  ferite – in quanto figlio di Umberto, di molto più giovane, sempre bistrattato dall’Avvocato, e infine meritevole del suo turno. 


Louboutin
Scarpe. La società di investimento della famiglia Agnelli, Exor, ne ha appena comprato il 24 per cento per 541 milioni di euro. L’investimento permetterà a Exor di crescere nel settore dei prodotti di lusso e a Louboutin di espandersi ancora, in particolare nei mercati asiatici. Louboutin fu fondata nel 1991 a Parigi dallo stilista Christian Louboutin, ed è oggi uno dei marchi di scarpe di lusso più noti nel mondo, famoso in particolare per le scarpe con la suola rossa.

Marella
Cigno di Capote. Cioè una di quelle amiche dei quartieri alti fornitrici di inviti e pettegolezzi che poi finiranno dritte dritte nel suo libro maledetto, “Preghiere esaudite”; anche se su di lei lì ci sono molte meno cattiverie rispetto alle altre dame altospendenti che finiranno citate e svergognate. Forse perché Marella è cigno moderato, forse perché già lo rimproverava durante le chiacchiere balneari, presentendo che lui poi ne avrebbe fatto qualcosa: “ma è solo gossip, Truman!”. Invece, Marella, principessa un po’ triste, e molto intellettuale, contribuirà molto al mito producendo case e giardini, e libri su case e giardini: utili anche per capire l’enorme lavorio che stava dietro la creazione, di questo mito.  Raccontò dubbi e paranoie per una certa piscina che doveva assolutamente riflettere “i verdi e i grigi delle montagne attorno”, a Villar Perosa: si consultarono i massimi esperti mondiali, alla fine Gae Aulenti – architetta della Real Casa, per cui fece tante residenze private e pubbliche, come palazzo Grassi – decise che l’unico colore possibile per questa rifrazione era l’arancio. Ma a lavori avviati Gianni si accorse, dall’elicottero, che la piscina di quel colore “sembra una grande carota”, andando fuori di sé; salvo poi riconoscere, una volta riempita d’acqua, che il riflesso era verde-grigio, dunque ok, e finalmente si placava. E certo ci si chiede quante energie quel monarca e quella famiglia spendessero in certi dettagli: ma si sa che il mito proprio di dettagli si alimenta. E se altrove, nel frattempo, qualcun altro prendeva fondamentali decisioni su modelli e carrozzerie d’auto e marketing e bilanci, non è che l’Avvocato lavorasse  meno: semplicemente lavorava per un fine diverso: quello della leggenda. Se poi sia stato un buon investimento, è tutto da stabilire.

  
Marinara
Vestivamo alla. Il memoir dell’infanta Susanna, con editing massiccio e amoroso di Cesare Garboli, intellettuale viareggino, compagno della stessa per molti anni; Buddenbrook agnelleschi che raccontavano educazioni sentimentali tra Torino e la Versilia (e le scorribande di donna Virginia). E modi di dire e vezzi che poi quel bestseller instillò nel Paese: “Don’t forget you are an Agnelli”, secondo una leggendaria tata. Location, un casone oggi trasformato in hotel, che si chiamava villa Costanza, poi diventata casa Agnelli, poi venduta frettolosamente nel 1969 per duecento milioni di lire, “a cancelli chiusi”, con dentro arredi e tutto. Un tunnel tuttora in funzione (unico di tutta la costa) consentiva ai piccoli Agnelli di andare al mare senza attraversare la strada. L’hangar dell’idrovolante di Edoardo (vedi) è stato trasformato in una leggendaria discoteca, il Bamba Issa, disegnata dagli architetti radicali Ufo a simulare un’oasi nel deserto. 

 

Merda
“Andatevi a comprare un bel gelato di merda”, Gianni ragazzo a dei cugini bambini, a Forte dei Marmi (da “Casa Agnelli”, di Marco Ferrante, Mondadori).

  

Gianni Agnelli da bambino al mare a Forte dei Marmi 
   
 

Mignotte
“Andavo a Capri quando le contesse facevano le mignotte. Ora che succede il contrario, non mi diverte più”.

  
Monte Argentario
Comune di cui Susanna fu per qualche anno sindaco, lottando contro abusivisti, nobili romani e comunisti locali in consiglio comunale. Come assessore aveva precettato Guido Carli, allora suo fidanzato, che se ne andò dopo un po’ inorridito (la storia sta dentro un altro libro di Susanna, “Addio addio mio ultimo amore”, Mondadori).

 

Rattazzi
Altra dinastia parente. Susanna sposò Urbano, “aveva il nome di una via”. Discendente di uno storico presidente del Consiglio.  Tra i figli, Lupo, imprenditore delle linee aeree, sponsor di Matteo Renzi.

 
Sanremo

Anni Novanta. Intervistato da Enzo Biagi una sera di un Sanremo. Alla fine dell’intervista Agnelli dice che non l’avrebbe guardato, il festival. Biagi risponde: “Avvocato, non sa cosa si perde”. Agnelli: “Non sapete cosa vi perdete voi”.

 
Sei di mattina
Chiamava tutti al telefono. Impossibile controllare. Ci vorrebbero i tabulati. 

Starling
Simon, artista, inglese, autore di un’opera peculiare esposta e molto vista alla galleria Franco Noero di Torino nel 2020: una Fiat 125 S blu proprio come quella dell’Avvocato: ma qui, perfettamente tagliata in due, con tubature e congegni in vista. Insieme a un dipinto pure quello spezzato in due, il Mosè di Tiepolo, realizzato tra il 1736 e il 1738, e poi agli inizi del XIX secolo smembrato in due parti: una finì alla Galleria Nazionale di Scozia, mentre la seconda entra a far parte prima della collezione privata degli Agnelli e successivamente alla Pinacoteca di famiglia aperta al pubblico. Metafore libere.  

Supplenza 
Al Quirinale e a palazzo Chigi l’Avvocato non  andava solo a cena o a presentare i nuovi modelli: era anche una riserva della Repubblica in servizio permanente effettivo; Susanna, la sorella che rispondeva alla rubrica delle lettere su Oggi, imbruttendo gli italiani, se richiesta faceva impeccabilmente il sottosegretario o il ministro degli Esteri alla bisogna, on demand; e Fidel Castro talvolta veniva visto uscire dal Quirinale ed entrare a casa Agnelli di fronte, tipo porte girevoli. L’Avvocato era un garante di ultima istanza:  quando la situazione si faceva seria, lui telefonava ai suoi amici all’estero e garantiva, whatever it takes. Oppure metteva un suo uomo di fiducia,  come Renato Ruggiero, super ambasciatore di fiducia  “prestato” al secondo governo Berlusconi. La Fiat aveva poi una sua  propria diplomazia parallela, i concessionari erano come  ambasciate, pronte a intervenire anche a protezione della famiglia, come  nel caso di Gianni ferito alla fine della guerra, soccorso e salvato proprio grazia alla rete di vendita Fiat.

 
Togliattigrad
Città-mondo Fiat in Russia, inaugurata dai tecnici italiani nell’Unione Sovietica avida di automobili e tecnologia il 22 aprile 1970, per il centenario della nascita di Lenin, come si legge nel bel libro “Togliatti. La fabbrica della Fiat”, di Claudio Giunta e Giovanna Silva, Humboldt Books, 2020 . 

Torino
“Come una portaerei: bello arrivare, bello ripartire”.

Umberto
Sfortunato fratello minore.  Salvò la baracca in varie circostanze. Non ultima, scoprendo un giovane manager chiamato Sergio Marchionne. Relazione complicata con l’Avvocato. Quando sposò in prime nozze l’erede degli scooter Antonella Bechi Piaggio, Gianni: “un matrimonio a sei ruote non può funzionare”. Molte differenze caratteriali, anche, col fratello: uso smodato e esibizionista di aerei, elicotteri, motori, propaggini varie da parte di Gianni; mentre Umberto coltivava un understatement più torinese, al massimo una Fiat 131 station wagon. Quando finalmente è il suo turno alla guida dell’azienda, il banchiere Enrico Cuccia impone Cesare Romiti.  E poi il figlio morto giovane. Vita grama.

 
Valletta
Vittorio. Professore di ragioneria, fece una lunga carriera alla Fiat e ne divenne amministratore delegato e presidente nel dopoguerra. Ne guidò la ricostruzione.  Nel 1946  chiese ad Agnelli ventenne: “o lo faccio io il presidente o lo fa lei. Agnelli: professore, lo faccia lei”. Quando andò in pensione, gli chiesero quali fossero i suoi programmi. Pare che rispose: “morire, il più velocemente possibile”. Mantiene la parola morendo un anno dopo. In quel momento Gianni era in vacanza in qualche oceano con Umberto e, come in un film, ecco scendere un elicottero militare dall’alto per avvertirli e riportarli a casa.

Virginia
Mamma dell’Avvocato. Bella e scapestrata. "Era bella, fragile, aveva trentacinque anni: era la madre, praticamente squattrinata, di sette figli che avrebbero un giorno ereditato un'immensa fortuna" (“Vestivamo alla marinara”). Rimane presto vedova. Si consola con Curzio Malaparte, direttore della “Stampa”, conosciuto a Torino. La storia piace pochissimo al vecchio Senatore, che le fa togliere i figli. Ma lei corre da Mussolini e il Duce, contento di fare uno sgarbo ad Agnelli, glieli ridà. Durante la Seconda guerra mondiale ha mediato segretamente tra il Vaticano e i comandi tedeschi per evitare grosse disgrazie alla capitale. 

 

 

Di più su questi argomenti:
  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).