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Riaprire i ristoranti: con giudizio, e con i vaccini

Lorenzo Borga

Conversare senza mascherina in un luogo chiuso è ancora un rischio troppo elevato per i più fragili 

Riaprire i ristoranti. Questo era uno dei capisaldi della campagna per le riaperture che è stata portata avanti nelle ultime settimane, nonostante i persistenti numeri dei decessi giornalieri. Probabilmente non c’è italiano a cui non farebbe piacere poter tornare a godersi un pasto senza pensieri con altri commensali, ma le evidenze scientifiche sul rischio di contagio negli spazi al chiuso e in cui le persone si trattengono a lungo, come i ristoranti, sono ormai note e largamente condivise.
Matteo Salvini da settimane ritiene che i ristoranti vadano aperti anche a cena nelle zone gialle perché, a suo dire, “se si può andare a pranzo tranquilli, distanziati e ridotti a pranzo, lo si deve poter fare anche a cena”.

 

Anche gli operatori economici, in particolare la Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi), hanno richiesto da tempo al governo di consentire il servizio serale nelle regioni in area gialla e il servizio fino alle 18 nelle regioni in area arancione, garantendo sicurezza e distanziamento. Le regioni avevano proposto nei giorni scorsi di garantire le riaperture dei ristoranti, anche al chiuso, con i tavoli distanziati di uno o due metri.


Purtroppo però i ristoranti sono tra i luoghi più rischiosi per la diffusione del contagio del nuovo coronavirus. A confermarlo sono diversi studi, tra cui probabilmente il più famoso è quello pubblicato su Nature nel novembre scorso da un gruppo di studiosi dell’Università di Stanford e della Northwestern University di Chicago. Studiando i movimenti di 98 milioni di americani attraverso i dati delle celle telefoniche hanno scoperto che, se riaperti, i ristoranti sarebbero i luoghi che contribuirebbero maggiormente all’aumento dei contagi, rispetto al resto (come palestre, bar, hotel, chiese, eccetera). Anche i ristoranti a servizio limitato, aperti cioè con posti ridotti, resterebbero tra i luoghi più pericolosi, più di ambulatori medici e negozi. Le probabilità di contagiarsi infatti si moltiplicano se un elevato numero di persone si riunisce in spazi chiusi senza mascherine (con cui ovviamente è impossibile mangiare) per un tempo medio-lungo. Per di più se, come piacevolmente si fa al ristorante, si conversa a voce alta con i compagni di tavolo. A poco serve il distanziamento tra i tavoli: nonostante sia stato sottostimato nei primi mesi della pandemia, una delle modalità di trasmissione del virus più frequente è il cosiddetto aerosol. Come ha illustrato graficamente il quotidiano spagnolo El País, mentre si respira e si parla si emettono – oltre alle goccioline di saliva più grosse che cadono a terra entro 1-2 metri – delle piccole particelle che fluttuano nell’aria, spostandosi di metri, e possono rimanervi per ore se gli spazi chiusi non vengono ventilati. Secondo le autorità sanitarie, attraverso le particelle di aerosol possono essere contagiate anche persone distanti oltre i due metri, e a poco servono in questo caso distanze, gel per le mani e barriere di plexiglass (aprire una finestra, invece, non è mai una cattiva idea). Purtroppo invece ancora oggi si dedicano molte energie, forse troppe, a prevenire le infezioni dalle superfici che invece sono ritenute molto rare.


Peraltro i ricercatori del Cdc, l’agenzia americana per la salute, hanno notato un possibile nesso tra l’apertura dei ristoranti e l’aumento dei contagi. Gli stati americani che avevano riaperto i ristoranti, indoor o outdoor, hanno visto entro sei settimane più tardi un aumento dei contagi, e entro due mesi un maggior numero di morti.


Secondo una simulazione, in un bar in cui la capienza è ridotta del 50 per cento e tutti i clienti indossano la mascherina, una persona positiva dopo quattro ore rischia di infettare quasi la metà tra clienti e dipendenti. Riducendo invece il tempo di permanenza e allo stesso tempo migliorando la ventilazione del locale, il rischio di contagio si riduce a una persona ogni quindici presenti. Proprio basandosi su queste evidenze scientifiche, il governo ha dato l’autorizzazione ai ristoranti per riaprire dal 26 aprile, ma solo per i posti all’aperto dove i rischi di contagio per aerosol sono minimi visto il continuo ricambio d’aria naturale.


Sempre su Nature si consigliano le contromisure per ridurre i rischi. Se i ristoranti tagliassero i posti a tavola al 20 per cento della disponibilità, il rischio di infezione sarebbero ridotto dell’80 per cento. Ma, anche comprensibilmente, i ristoratori si sono sempre opposti a tagli tanto drastici perché probabilmente non riuscirebbero a rientrare dai costi per tenere aperti. Secondo la Fipe l’unico scenario economicamente sostenibile per riaprire anche al chiuso sarebbe ridurre i posti disponibili del 30 per cento (cioè con i tavoli distanziati di due metri uno dall’altro): non abbastanza però per abbattere il rischio di contagio.


E’ probabile che una buona cena al ristorante all’interno, in particolare nelle stagioni fredde, dovrà purtroppo rimanere un ricordo ancora per un po’. Senza un elevato tasso di vaccinazioni, conversare senza mascherina per più di un’ora in un luogo chiuso rimarrà ancora un rischio troppo elevato per la salute dei più fragili.
 

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