(foto Ansa)

Cosa vuol dire rivoluzionare la pa per le imprese. Parla Preve

Annalisa Chirico

"Fisco e burocrazia sono un macigno per la competitività del sistema. Serve uno snellimento vero", dice il patron di Riso Gallo

 “Finalmente al governo c’è un uomo con le palle, con tutto il rispetto”, Mario Preve, il patron di Riso Gallo, si rivolge a Mario Draghi senza mai citarlo, per rispetto appunto. “Il premier ha una storia che parla da sé, si è attorniato di persone competenti, può contare su una rete di rapporti che servono alla ripartenza del paese all’indomani di una grave crisi sanitaria, economica e sociale. Non è più tempo di chiacchiere”. Superato il giro di boa degli ottant’anni, Preve, sesta generazione di produttori di riso, ha consegnato ai quattro figli le redini dell’azienda, con un fatturato annuale di oltre cento milioni di euro. “Ho sempre pensato che i discendenti non debbano ereditare l’azienda per diritto acquisito – spiega Preve al Foglio – Ai miei ho chiesto di laurearsi, imparare altre lingue e farsi le ossa all’estero per qualche anno. Ognuno ha seguìto il proprio percorso e il più giovane, Eugenio, oltre ad aver assunto la presidenza di Riso Gallo, è diventato partner di un fondo di private equity inglese”.

L’azienda ha risentito della crisi del settore horeca? “La chiusura delle attività di ristorazione non è stata indolore ma siamo riusciti a compensare con i consumi domestici, principalmente attraverso la rete dei supermercati anche se gli acquisti online sono pure in crescita. Per nostra fortuna, abbiamo una tradizione e un marchio che sono sinonimo di qualità italiana nel mondo, esistiamo dal 1856 ed esportiamo in oltre ottanta paesi. La nostra ultima pazzia si chiama Cina”. In che senso? “Vogliamo esportare nel paese che è il principale produttore e consumatore di riso a livello mondiale. Devo dire che i cinesi ci hanno posto ostacoli e grane burocratiche. Alla fine, è stato sottoscritto un accordo commerciale, serviranno forse ulteriori autorizzazioni dell’autorità cinese ma noi speriamo di poter cominciare ad esportare prima o poi…”.

Tornando a Draghi, che suggerimenti darebbe al premier? “Fisco e burocrazia sono un macigno per la competitività del sistema. Paghiamo troppe tasse e con un meccanismo farraginoso, a tratti oscuro: lei ha mai fatto un interpello? Non glielo auguro, altrimenti le toccherebbe affrontare un labirinto di norme e codicilli di cui è difficile cogliere il senso. Il tasso di imposizione fiscale in Italia è il più elevato d’Europa, a Londra o a Berlino chiami l’agenzia delle imposte e risolvi i problemi, da noi invece non puoi compilare neanche un modulo senza l’aiuto di un buon avvocato e di un bravo commercialista. C’è un gran bisogno di semplificare, anche in un’ottica anticorruttiva: più sono gli adempimenti da espletare, più è facile che qualcuno ci provi”.

 

La “sburocratizzazione” è ormai un titolo che accompagna la nascita di ogni governo. “Serve uno snellimento vero, servono dipendenti pubblici disposti ad assumersi qualche responsabilità, e poi, come in ogni cosa della vita, serve buon senso. Mio figlio Carlos rischiava di non potersi iscrivere all’università perché il suo nome, sull’atto di nascita, compariva con la ‘s’ finale mentre sul diploma di maturità la consonante era sparita. Identici il luogo di nascita, la data, i nomi dei genitori, eppure, per risolvere il pasticcio, è servito un decreto firmato addirittura dal presidente della Repubblica. Le sembra una cosa normale?”. Come lo vede il futuro? “Molto dipenderà dal vaccino, io ho consultato il medico di famiglia e, alla mia età, spero di poter ricevere presto l’inoculazione. Dobbiamo correre con i vaccini per tornare a vivere e a lavorare a tempo pieno. L’altro giorno, a Milano, il tassista ha chiesto a mio figlio di saldare la corsa in contanti perché, avendo guadagnato solo venti euro nell’intera giornata, non aveva i soldi per fare benzina. E’ scoppiato in lacrime. Io penso che sia necessario sostenere chi crea lavoro, non chi se ne sta a casa”. Che intende? “Io sono contrario al reddito di cittadinanza: lo stato deve sostenere chi produce ricchezza, soltanto le imprese possono aiutare chi ha bisogno. Quando paghi lo stipendio di un dipendente, sai che con quei soldi lui salderà la rata del mutuo e garantirà la retta universitaria al figlio. Il sussidio gratis e per tutti, per giunta senza controlli, diventa un incentivo al lavoro nero”.