Una riforma a costo zero per Draghi: l'orgoglio Italia

Marco Fortis

Manifattura, investimenti fissi lordi, surplus primario. Punti di forza  contro l’agenda del declinismo

Nelle dichiarazioni programmatiche al Senato del neopresidente del Consiglio Mario Draghi del 17 febbraio scorso è annunciata una “riforma” non meno importante delle molte di cui da anni il nostro paese abbisogna. Si tratta di una riforma “minore” ma non troppo. È una riforma fondamentale per mettere nero su bianco un trasparente e puntuale censimento di tutte le nostre risorse ed energie disponibili e per ripartire con slancio dopo la pandemia. Si tratta della “riforma” dell’orgoglio per l’Italia. Quella dell’orgoglio per l’Italia è una “riforma” che sembra quasi impossibile da realizzare in un paese che l’ultima volta che si è sentito veramente unito è stato forse in occasione della vittoria ai mondiali di calcio in Spagna del 1982, stretto attorno all’immagine del presidente Pertini e di Bearzot che giocavano a carte sull’aereo che li riportava in patria dopo il trionfo. Poi ci sono stati gli anni dell’accentuazione e dell’incattivimento dello scontro politico.

  

Sparare sull’Italia è diventato lo sport nazionale: dei nostri politici, degli opinionisti in cerca di visibilità, dei talk show, dei “declinisti”, ecc. Gli italiani sono stati i primi a parlar male di sé stessi ai mercati e a “declassare” indirettamente il proprio paese, quasi fossero dei lemming della propria immagine: possiamo poi lamentarci che ci abbiano declassati ufficialmente anche le agenzie di rating o che abbia parlato male di noi qualche giornale tedesco? È positivo, perciò, che Draghi nel suo discorso al Senato abbia marcato una cesura netta con questa visione “apocalittica” e auto-lamentosa che gli italiani hanno sedimentato riguardo alla propria nazione, puntando invece sulla ricostruzione di un sano orgoglio nazionale.

  

La presidenza italiana del G20 che cade quest’anno è una occasione storica per raccontare finalmente a noi stessi e al mondo che cosa è veramente l’Italia. E nessuno più di una figura autorevole come Draghi può farlo senza il rischio di essere considerato un mistificatore della realtà o alla stregua di un politico che cerchi di sfruttare a vantaggio della propria immagine le cose che funzionano bene nel nostro paese. Sappiamo tutti che l’Italia ha un debito pubblico troppo alto, che ha una pubblica amministrazione lenta ed inefficiente, che la nostra economia negli ultimi venti anni è cresciuta poco, che abbiamo una crisi demografica preoccupante e che il divario Nord-Sud è ancora ampio. Ma l’Italia non è soltanto questo: è ben altro.

 

Innanzitutto, negli anni  precedenti il Covid-19, sono stati sufficienti alcuni primi seri tentativi di riforme (dal Jobs Act a Industria 4.0) per invertire il drammatico trend di declino dell’Italia che perdurava da almeno tre lustri. Il che dimostra che non siamo condannati irreversibilmente né alla stagnazione né alla decrescita “felice”. E che, se useremo bene i denari europei del Next Generation Eu, facendo riforme e scelte strategiche di investimento razionali e mirate, potremmo innalzare notevolmente il nostro potenziale di sviluppo. Se, per esempio, prendiamo come confronto i paesi del G20, l’Italia dal 2015 al 2018 non è stata affatto l’inconsolabile “fanalino di coda” così bollato regolarmente dai media. Infatti, per crescita annua del Pil pro-capite siamo stati ottavi nel G20 e secondi nel G7 (dietro soltanto agli Stati Uniti).

 

Per crescita del valore aggiunto manifatturiero, sempre in media d’anno, siamo stati sesti nel G20 e primi nel G7 (dove siamo stati anche primi per crescita della produttività manifatturiera). Il Nord-Est Italia da solo è stato quinto per crescita del valore aggiunto manifatturiero nel G20 e primo nel G7 ed analogamente il Mezzogiorno d’Italia è stato sesto nel G20 e primo nel G7. Grazie al piano “Industria 4.0” e al conseguente boom di investimenti in macchinari e tecnologie (e nonostante gli investimenti in edilizia ancora depressi), tra il 2015 e il 2018 l’Italia è stata settima per crescita degli investimenti fissi lordi totali nel G20 e seconda nel G7 (dietro soltanto agli Stati Uniti).

 

Sempre negli investimenti fissi lordi totali, le “locomotive” regionali italiane hanno brillato con cifre da record: il Veneto è cresciuto quasi come la Cina (più 5,3 per cento medio annuo contro più 5,8!). L’Emilia-Romagna ha performato quasi come la Corea del sud (più 4,4 per cento contro più 4,8 per cento); la Campania ha fatto meglio degli Stati Uniti (più 4,2 per cento contro più 3,5 per cento); la Puglia ha fatto meglio della Germania (più 3 per cento contro più 2,9 per cento). Senza considerare che l’Italia si è confermata nel 2019 quinta al mondo e nel G20 e seconda nel G7 per surplus commerciale totale con l’estero.

 

Ma il nostro paese brilla nel G20 anche per molti altri indicatori, tra cui quelli che riguardano lo sviluppo umano aggiustato per le pressioni planetarie, la durata di vita e la sua qualità, il turismo, le pubblicazioni scientifiche e i brevetti di design rispetto al pil, il numero di certificati ISO 9001 e 14001, la crescita dell’export farmaceutico, la produzione pro capite di frutta e verdura (dove il Mezzogiorno è un autentico gigante). Aggiungiamoci le nostre leadership nella sostenibilità ambientale e nella percentuale di energia elettrica prodotta con risorse rinnovabili, nonché i nostri primati nella robotizzazione delle imprese (dove eccelliamo nell’alimentare, nella moda e nei mobili, mentre nell’industria meccanica superiamo non solo gli Stati Uniti ma perfino l’intero Nord America!).

 

Ed infine, non dimentichiamo il nostro posizionamento nel surplus primario di bilancio dello stato (dove siamo stati secondi solo alla Germania nel G20 nell’ultimo decennio), nel basso debito privato strutturale che ci contraddistingue, nel rapporto tra ricchezza delle famiglie e pil (dove siamo primi assoluti nel G20). Per non parlare della straordinaria Italia del volontariato, settore in cui le statistiche internazionali sono incomplete e frammentarie per poterci dare il giusto peso. In passato qualcuno ha chiamato Draghi “super Mario”. Non sappiamo se, dato il suo stile, egli gradisca questa denominazione ma crediamo che lui possa raccontare finalmente un’Italia diversa dall’immagine di quel paese sgangherato che ci è stata costantemente propinata. Una Italia che, se saprà usare bene le risorse del Recovery Plan, potrebbe diventare addirittura una “super Italia”.
 

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