Il premier Mario Draghi, 73 anni (Ansa)

accorciare il ritardo

Saper spendere: acquisire competenze, ripensare i controlli

Giacinto della Cananea

L’inefficienza dell’Italia nella gestione dei fondi europei non si risolve con una magia

Durante l’ultimo decennio, malgrado l’Italia avesse bisogno dei fondi messi a disposizione dall’Unione europea, gli organi di governo nazionali e regionali non sono riusciti a migliorarne la gestione. Due documenti ufficiali, l’uno pubblicato dalla Corte dei conti dell’Ue lo scorso anno e l’altro presentato pochi giorni fa dalla Corte dei conti italiana, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, sono utili per comprendere i termini del problema e per individuare i rimedi nella prospettiva delle nuove risorse stanziate dall’Ue. Nel rapporto sulla gestione del bilancio dell’Unione nel 2019, la Corte dei conti europea ha rilevato che l’Italia ha un tasso di assorbimento, cioè di effettivo impiego delle risorse trasferite dall’Ue, di poco superiore al 30 per cento, rispetto al 32,8 per cento della Spagna, al 38 per cento dell’Olanda, al 41 della Germania e al 44,8 della Francia.

 

Nell’esaminarne le cause, essa ha sottolineato la debolezza dei controlli interni, a volte non effettuati prima che i responsabili della spesa presentino i propri rendiconti. A ciò si aggiungono le frodi. Il procuratore generale della nostra Corte dei conti, Angelo Canale, ha reso noto che nello scorso anno vi sono state 66 sentenze di condanna relative ai fondi nazionali ed europei. Nel decennio appena trascorso, ve ne sono state ben 1.173, per un ammontare complessivo di 730 milioni di euro di condanne inflitte ai responsabili. Sono risultati ragguardevoli, ma dimostrano che il sistema amministrativo italiano, oltre a non gestire in modo efficiente ed efficace le risorse ricevute dall’Unione, non garantisce nemmeno il rispetto della legalità. La tendenza del ritardo italiano nella gestione dei fondi europei ad accentuarsi, in alcuni casi anche a peggiorare, conferma l’opinione condivisa dagli esperti: un’opinione che, non limitandosi ai difetti della cornice legislativa (le norme sono troppe, sono complesse e non di rado contraddittorie), attribuisce preminente importanza all’inadeguata preparazione del personale amministrativo.

 

 

Un confronto con i principali partner europei rivela che, malgrado non pochi dirigenti e funzionari di prim’ordine, il nostro personale ha un’età media assai più avanzata, ha pochi laureati e ne ha ancor meno in ambiti specialistici di cui vi è un gran bisogno per redigere ed eseguire progetti, dall’ingegneria alla statistica. I rapporti ufficiali si sono orientati verso tale interpretazione con crescente consapevolezza, sottolineando anche gli inconvenienti derivanti dalle stabilizzazioni degli impiegati non reclutati tramite concorsi pubblici. Esse ingenerano un intreccio di pressioni alle promozioni interne e disattenzione per i giovani, capaci e meritevoli, che restano all’esterno delle amministrazioni. Bisogna porre un argine, quindi, alle istanze corporative. Il miglioramento qualitativo del personale pubblico è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Affinché le grandi opportunità che i nuovi fondi europei ci offrono possano essere colte, vanno ripensati i controlli.

 

Lo ha sottolineato Mario Draghi proprio in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario della nostra magistratura contabile. Non si è trattato di un’osservazione estemporanea, né meno che meno d’una mancanza di riguardo. La lentezza dei controlli preventivi è nota da tempo. Alla fine degli anni Sessanta, Federico Caffè – il maestro di Draghi – mosse critiche al formalismo dei controlli, a volte non disgiunto da una certa selettività. Vi si pose rimedio molti anni più tardi. Nel 1994, il Parlamento limitò i controlli preventivi, rafforzò quelli successivi, che servono proprio ad accertare le situazioni di inefficienza e di sperpero del pubblico denaro. Anni dopo, la legge fortemente voluta da Enrico La Loggia confermò quell’impianto. È giunto il momento di destinare maggiori risorse umane e finanziarie ai controlli successivi, tanto più che i loro esiti serviranno al Parlamento per svolgere un’attività a lungo trascurata ma fondamentale, ossia la supervisione sull’azione governativa, e ai cittadini per esprimere il proprio giudizio.

 

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