L’articolo 1 recita così: “Le borse di commercio sono istituite con Regio decreto, su proposta della competente Camera di commercio. Il decreto di istituzione indica per ciascuna borsa, secondo le proposte della Camera di commercio, per quali specie di contrattazione sia istituita”. L’articolo 2 sancisce che “le borse di commercio sono sottoposte alla vigilanza del governo, delle Camere di commercio, delle Deputazioni di borsa e dei Sindacati di mediatori. I ministri di Agricoltura, Industria e Commercio e del Tesoro possono in ogni tempo ordinare di concerto ispezioni alle borse di commercio e, sentita la Camera di commercio, emanare i provvedimenti reputati di volta in volta necessari, secondo le speciali condizioni del mercato, per assicurare il regolare andamento degli affari nelle singole borse”. Sono le prime due voci della legge 20 marzo 1913 n. 272 le cui disposizioni vennero abolite definitivamente al culmine dell’ebbrezza globalista ed europeista che nel 1998 aveva portato alla privatizzazione della Borsa italiana, o meglio della società che organizza e gestisce il mercato dei titoli azionari. A quelle norme arcaiche gettano uno sguardo nostalgico i sostenitori della ri-nazionalizzazione.
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