Cosa può fare l'Italia per non fare la fine di una rana bollita

Renzo Rosati

Francesco Mutti, presidente di Centromarca, spiega perché la politica dovrebbe guardare alla Merkel più che a Trump

Roma. “Questa crisi è come l’improvviso aumento di temperatura dell’esempio di Noam Chomsky della rana bollita. Una rana in una pentola alla quale si aumenta lentamente la temperatura nuota e vi si adatta finché non muore. Se la si immerge direttamente a 50 gradi schizza via e si salva. L’Italia dall’introduzione dell’euro si è adagiata sui suoi benefici a partire dal denaro a buon prezzo ma non ha fatto nulla per utilizzare la moneta unica a proprio vantaggio. Nulla per impiegare i bassi interessi a fini di investimento. Nulla per controllare la spesa pubblica. Nulla per l’evasione fiscale. Si è lamentata con le istituzioni europee per ottenere flessibilità, mentre non spendeva i fondi di Bruxelles. Così sarà difficile trasformare la crisi, l’aumento imprevisto della temperatura, in un’opportunità”. Francesco Mutti, presidente di Centromarca, l’associazione che riunisce i top di gamma dell’alimentare italiano e le multinazionali presenti in Italia (da Barilla, Ferrero, Walt Disney, Nestlé, Campari in giù), è un europeista senza se e senza ma, nonché un investitore convinto. Come ha fatto nella ultracentenaria azienda alimentare di famiglia, moltiplicandone fatturato e mercati. “L’Italia senza Europa non esisterebbe” dice “ma anche oggi l’approccio alle opportunità europee è più da rana bollita che da scatto di reni”. Perché non abbiamo un piano pronto per i fondi comunitari? “Perché la nostra prima reazione non è mai di fare le riforme per noi stessi, ma perché diciamo, quasi a prenderne le distanze, che le chiede l’Europa. Il risultato è la produttività più bassa, la popolazione più anziana, il debito più elevato, una sorta di culto del non lavoro che fa paura. Eppure siamo gli stessi che dopo la guerra creammo il miracolo economico che stupì il mondo. Ma allora avemmo la spinta dell’America. Dopo che gli Usa si sono chiamati fuori avremmo dovuto capire che il motore era l’Europa ed entrarne nella cabina di comando. Invece abbiamo scelto di restarne al traino, pigri e spesso rancorosi”.

 

Lo dicono anche quelli frugali del nord. “Non lo direbbero se avessimo appoggiato le riforme che prevedevano, per esempio, i voti a maggioranza e politiche di bilancio comuni in cambio della condivisione del debito. Questo però era scomodo in quanto ci toglieva il diritto di veto e impediva la finanza allegra di questi anni. In un certo senso capisco gli olandesi”. Nel dopoguerra c’erano governi stabili, oggi governi liquidi. “I quali sono frutto del populismo che, da ultimo, ha introdotto non-riforme come il reddito di cittadinanza e quota 100. Se il primo, che non condivido, aveva una pur vaga motivazione etica, la seconda è una mancia elettorale a danno dei giovani e delle casse pubbliche, del sistema produttivo, della ricchezza nazionale”. Perché quelle non-riforme non vengono abrogate? “Perché nessuno, neppure il Pd, vuole prendersene la responsabilità. L’ultimo che a sinistra ha avuto un progetto di governo è stato Matteo Renzi. E prima di lui, io che berlusconiano non sono mai stato, c’era stato Silvio Berlusconi: investire e produrre era la bussola, e l’Europa. Siamo così: temiamo la libera iniziativa in quanto ostile all’interesse comune, un privato che investe suscita sospetto. Allora buttiamo giù il re”. Lei rappresenta gli interessi dei big dell’alimentare tra i quali stranieri che investono sull’Italia. Il suo pessimismo è condiviso? “Non è pessimismo, nessun imprenditore può esserlo. E’ solo una analisi realistica della situazione. E aggiungo anche che se il governo all’inizio ha distribuito troppi soldi a pioggia, non mi scandalizzo, non c’era tempo di fare diversamente. Ma ora tocca mettere a terra i tanti progetti che sentiamo. Dalla pandemia usciremo con il vaccino. Usciremo necessariamente con l’Europa perché gli Usa di Trump sono un problema non un’opportunità. Ma guardo con invidia alla leadership di Angela Merkel che in tanti anni non ha mai rinunciato alla chiarezza degli obiettivi e al rapporto con la popolazione che conosce come pochi. Si chiama politica”.