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Perché Musk ha scelto Berlino per parcheggiare Tesla in Europa

Ugo Bertone

La scelta non ha nulla di clientelare: la macchina organizzativa per fare della capitale tedesca il centro strategico della nuova mobilità si è messa in moto da tempo

Milano. Europa aspettami che arrivo. Alla vigilia dell’inizio delle prime vendite della auto Tesla prodotte in Cina, Elon Musk è calato in Germania, con un’accoglienza trionfale annunciando che la giga-factory di Tesla, la prima del Vecchio continente sorgerà alla periferia di Berlino, benedetta dai contributi di stato e dell’Unione europea ma anche dal supporto, all’apparenza assai meno scontato, dei principali concorrenti a partire dal gruppo Volkswagen che è appena entrata nel settore dell’elettrica di lusso, dominato dai modelli di Musk, con la Porsche Taycan, prototipo del lusso a suon di volt.

 

Un’accoglienza inedita per il pioniere di Model 3, assai contestato in America dagli analisti, che gli contestano previsioni spesso troppo ottimistiche nonché dalla Sec che a suo tempo lo ha accusato di insider trading di aver simulato un’offerta di vendita per sostenere il titolo. Al contrario, il boss di Volkswagen, Herbert Diess che sta scommettendo 30 miliardi di euro per confermare la leadership nel made in Germany anche nell’elettrico, si è mosso da Wolfsburg a Berlino per festeggiare l’imprenditore/inventore premiato dalla Bild.

 

“Caro Elon – ha dichiarato sul palco il numero uno dell’auto tedesca – ti ringraziamo per aver aperto la strada e per gli stimoli che ci dai”. “Sono venuto qui – ha replicato il creatore di PayPal e dei razzi Space X – in parte perché avete ingegneri formidabili che hanno creato le auto più belle del mondo”. In parte perché oltre Reno ci sono senz’altro alcune delle condizioni ideali, quasi irripetibili, per lanciare la sfida ai produttori asiatici, Cina in testa. Con i soldi di Bruxelles per giunta.

 

L’Unione europea ha lanciato un anno fa cinque tipi di sostegno per lo sviluppo delle batterie che vanno dal sostegno integrale della ricerca ai fondi regionali (22 miliardi di euro) più altri contributi in arrivo dalle istituzioni comunitarie sufficienti, scrive il Financial Times, a finanziare l’equivalente della giga-factory di Musk nel Nevada. Insomma, il contesto ideale per avviare l’avventura europea. E poco importa che Berlino sia assai lontana dal cuore storico della Germania a quattro ruote, distante com’è (632 chilometri) da Stoccarda o ancor di più dalla Baviera. Ma la scelta non ha nulla di clientelare: la macchina organizzativa per fare della capitale il centro strategico della nuova mobilità si è messa in moto da tempo. Daimler e Bmw hanno scelto Berlino quale sede della loro joint-venture sulla mobilità elettrica, laddove Volkswagen ha piazzato nei pressi della stazione il quartier generale di Moia, il car pooling elettrico  destinato a persone che si muovono sugli stessi percorsi e vogliono condividere il tragitto.

 

Sempre Volkswagen sta per costruire a Salzgitter una sua fabbrica di batterie. Anche così la Germania intende assicurarsi un vantaggio sul fronte dell’elettrico, al centro delle attenzioni della politica e dei colossi dell’auto, ammaccati dal dieselgate, ma sempre potentissimi: in un incontro della scorsa settimana con i boss di Audi, Bmw, Daimler e Volkswagen, Angela Merkel ha ribadito la volontà di installare un milione di colonnine per l’auto elettrica nonché un numero adeguato di centri di assistenza. Programmazione, collaborazione tra politica e industria, certezza sui tempi e, non meno importante condivisione degli obiettivi. Si spiega così perché Musk abbia scelto la Germania, nonostante il costo del lavoro più elevato. La Francia è condannata ad inseguire con il supporto di Fiat Chrysler. Non a caso la prima richiesta di Parigi dopo l’accordo tra Peugeot ed Exor è stata la conferma dell’impegno a sviluppare una fabbrica di batterie. Il resto dell’Italia, che di politica industriale non ne fa da un bel pezzo resta a rimirare le macerie dell’acciaio.

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