Olaf Scholz e Angela Merkel (foto LaPresse)

Cosa c'è dietro all'astuta spinta di Scholz sull'Unione bancaria

Ugo Bertone

L'articolo pubblicato sul Financial Times dal ministro delle Finanze tedesco ha avuto l’effetto di un piccolo terremoto tra gli analisti

Milano. “La necessità di rafforzare e completare l’Unione bancaria europea è inevitabile. Dopo anni di discussioni lo stallo deve finire. Perciò chiedo all’Unione europea di muoversi per rafforzare la sovranità europea in un mondo sempre più competitivo”.

 

Parole impegnative se a metterle nero su bianco in un editoriale sul Financial Times è il ministro delle Finanze tedesco, il socialdemocratico Olaf Scholz, che oggi occupa la poltrona che fu di Wolfgang Schäuble, strenuo oppositore della sola idea di mettere i depositi delle banche tedesche a garanzia della solvibilità degli altri paesi, a partire dagli istituti italiani, dai forzieri zeppi di titoli di stato e di sofferenze, come continuano a scrivere i media d’oltre Reno, per niente intimiditi dalle traversie di Deutsche Bank. Per questo l’uscita di Scholz, preceduta ieri da un documento del ministero di Berlino, ha avuto l’effetto di un piccolo terremoto tra gli analisti. Anna Maria Benassi, capo dell’Equity research di Kepler Cheuvreux e grande esperta in materia bancaria, ha scritto che l’intervento di Scholz “è la vera sponda che ci voleva per il comparto finanziario europeo”, ovvero il calcio d’avvio di una stagione di alleanze e fusioni tra gli istituti del Vecchio continente quasi obbligata perché, come scrive Scholz, dopo aver perso Londra, cioè la capitale finanziaria, “non possiamo permetterci di dipendere dagli Stati Uniti o dalla Cina per i servizi finanziari”.

 

 

Insomma, sarà più facile trovare un partner per Deutsche Bank, ma anche per avviare altre operazioni oltre le frontiere, una volta saltati i vincoli che rendono per ora “quasi impossibili” i merger dentro i confini dell’Unione come ha di recente sottolineato lo stesso Jean Pierre Mustier, ceo di Unicredit, che ha ceduto la sua quota in Mediobanca con un coup de théâtre. Societé Générale, l’istituto transalpino indicato come il possibile partner della banca italiana (ma non solo) si è nel frattempo portata avanti: dai conti approvati ieri emerge sì un forte calo degli utili ma anche un capitale ben rafforzato, quasi una dote in vista delle nozze. Gli istituti, annusando la fine della stretta sul sistema degli ultimi anni, già si sono mossi prima di “quella presa di posizione forte” come Goldman Sachs ha definito la sortita del ministro tedesco pur ostentando una certa cautela: “Per ora è la presa di posizione del ministro delle Finanze, non del governo. Solo nei prossimi giorni sapremo se questa è la nuova linea di Berlino”. D’altronde c’è anche una chiave interna da valutare: “La proposta di Scholz – ha notato Carsten Nickel di Teneo Intelligence – è solo un primo passo verso l’avvio del dibattito sulla posizione tedesca nella zona euro post-Merkel. In particolare Scholz sembra posizionarsi come il candidato con l’esperienza ministeriale richiesta per guidare la Spd come partito di governo e anche come contendente per dare un’offerta politica ai centristi europeisti ”. In ogni caso gli analisti riconoscono che i tempi del blitz sono stati ben scelti: c’è un nuovo presidente della banca centrale europea, ma anche da domani un numero due in arrivo dalla Bundesbank al posto della “falchetta” Sabine Lautenschläger, dimessasi in aperto dissenso con la politica di Draghi. L’affondo di Scholz sembra fatto apposta per favorire l’avvio di una fase nuova all’insegna di quella fiscal policy già invocata da Mario Draghi, oggi (forse) benedetta dall’accoppiata franco-tedesca, non appena inizia il mandato di Christine Lagarde all’Eurotower.

 

 

Ma bando agli entusiasmi: la strada sarà lunga e lastricata di insidie come emerge dalle condizioni indicate da Scholz perché le garanzie possano funzionare: una forte riduzione delle sofferenze e una una minore concentrazione di titoli di stato domestici negli attivi delle banche. Non meno importante la convergenza giuridica dei meccanismi delle procedure di insolvenza e della tassazione per evitare arbitraggi. Si tratta di vincoli pesanti, per ora quasi insormontabili per gli istituti italiani, nonostante gli evidenti progressi compiuti rispetto ai momenti più bui. Ma la sufficienza è ancora lontana.

 

Le banche italiane, nonostante gli sforzi e  l’impegno sono ancora ad un livello di sofferenze doppio, rispetto alla media europea, (7,9 per cento contro 3). Inoltre, le stesse, hanno in pancia molti Cct e Btp: la media del settore è 1,3 volte il tangible equity. Ostacoli durissimi, Ma accontentiamoci: il muro si sta sgretolando.

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