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Così i tassi negativi aprono praterie per le banche digitali

Massimo Famularo

Le cosiddette challenger bank, nuovi operatori indipendenti, grazie all’innovazione riescono ad avere strutture agili ed efficienti e potrebbero avere una interessante opportunità

Roma. Hanno fatto discutere le dichiarazioni dell’amministratore delegato di Unicredit, Jean Pierre Mustier, in merito all’applicazione da parte delle banche commerciali di tassi negativi ai depositanti. L’idea è stata prima formulata in termini astratti, durante un discorso tenuto in qualità di nuovo presidente della Ebf, la federazione europea delle banche; poi declinata in concreto, specificando che Unicredit applicherà questo tipo di condizioni, a partire dal 2020, ai depositi con giacenze superiori a un milione di euro. La modifica, che interesserà essenzialmente la clientela corporate e wealth management, sarà accompagnata da proposte di impiego alternativo in fondi monetari a zero commissioni e obbiettivo di rendimento non negativo. Sul tema è intervenuto anche Gian Maria Mossa, ad di Banca Generali, suggerendo che questo tipo di decisione venga in qualche modo validata a livello istituzionale.

 

Le reazioni su questo tema sono state diverse e contrastanti. A un estremo, si collocano coloro che evidenziano come la liquidità abbia sempre avuto un costo legato all’inflazione e alla rinuncia a impieghi più remunerativi, dunque, l’applicazione di un tasso negativo ai depositanti, si dovrebbe leggere come naturale conseguenza delle misure di politica monetaria non convenzionali, che hanno portato ai tassi d’interesse negativi. All’altro estremo, c’è chi ritiene questo passaggio come un tentativo di scaricare sui depositanti l’incapacità degli istituti di credito di fronteggiare le complessità del mercato del credito contemporaneo. In quest’ottica, si tratterebbe anche di una difesa corporativa per arginare le pressioni concorrenziali esercitate da nuovi entranti come le challenger bank. Da ultimo, considerando che in Danimarca sono già comparsi dei mutui a tasso negativo, sarebbe legittimo chiedere a Unicredit se è intenzionata ad applicare anche agli impieghi, le condizioni straordinarie ipotizzate per la raccolta.

 

Il mondo “sottosopra” dei tassi negativi ha portato non pochi grattacapi anche ai tecnici e agli economisti monetari: per cercare di orientarsi il primo passo è evitare di confondere le policy delle istituzioni dal comportamento degli operatori di mercato. Il fatto che la Bce abbia deciso di adottare politiche non convenzionali è materia di discussione tra chi ritiene che abbiano contribuito al formarsi di bolle speculative e chi invece ritiene che abbiano contribuito all’adempimento del mandato dell’istituto a tutela della stabilità dei prezzi. Discorso totalmente diverso riguarda gli istituti di credito che, come aziende private, operano in un mercato competitivo. Il tasso che remunera i depositi è un fondamentale elemento di politica commerciale, se un istituto vuol portarlo in negativo non è un problema, nella misura in cui ne accetta le conseguenze, ovvero le reazioni dei clienti. Si può rilevare come Intesa Sanpaolo abbia fatto sapere che non seguirà l’esempio di Unicredit applicando tassi negativi ad alcune categorie di depositi.

 

L’invito di Mustier alle banche europee e quello di Mossa alle istituzioni italiane appaiono come tentativi di proporre una azione coordinata da parte di tutti gli operatori del mercato e di chiedere altresì che le istituzioni accettino questa forma di cooperazione in luogo della competizione, che di norma dovrebbe verificarsi sui mercati. Nella misura in cui non vengono direttamente attaccati gli interessi della clientela retail, non è da escludere che le istituzioni europee possano tollerare delle forme di “azione coordinata” da parte delle banche, settore che sta attraversando un processo di profonda ristrutturazione per il quale la redditività è l’aspetto più critico. L’unica variabile che appare meno controllabile sia dalle lobby sia con la moral suasion delle banche centrali è costituita dalle cosiddette challenger bank, nuovi operatori indipendenti, che grazie all’innovazione digitale riescono ad avere strutture agili ed efficienti e che potrebbero vedere in questa debolezza degli incumbent, una interessante opportunità.

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