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Vade retro disfattismo

Smontata la grande balla del ceto medio ristretto alla radice del populismo

Il ceto medio fa cucù e sconvolge le analisi prevalenti sulla nostra situazione economica e già che c’è smonta anche le letture facili delle tendenze elettorali presenti e passate. Il calcolo lo fa, come ogni anno, il servizio studi di Intesa Sanpaolo con il Centro Einaudi di Torino. E questa volta mettono nel titolo i numeri sulla consistenza delle classi di reddito tra i 1.500 e i 3.000 euro mensili. Per chi non volesse crederci raccomandiamo di leggere e rileggere con calma, ma negli ultimi tre anni “torna a irrobustirsi il ceto medio, le tre fasce centrali di reddito del campione passano dal 51,7 per cento di tre anni fa al 57,5, approssimativamente un milione e settecentomila famiglie sono rientrate a far parte del ceto medio”.

 

Un miglioramento delle condizioni reddituali di tale portata dovrebbe mostrare un paese in fermento, disposto a riprendere i consumi e a investire sul futuro. Ma la realtà dei fatti, e non solo la descrizione negativa imperante, ci dà un quadro diverso. Certamente una parte di questa lettura forzatamente negativa deriva dall’inerzia delle versioni drammatizzanti (dovute alla convenienza politica) sulle condizioni generali del paese. Ma qualche ruolo può giocarlo anche il calo di importanza, nella percezione, del reddito rispetto al patrimonio (si pensi al perdurante calo delle quotazioni immobiliari). Le notizie preoccupanti sul fronte della finanza pubblica giocano un’altra parte nel freno alle attività private e ai consumi (più debito si trasforma in attesa di più tasse). I tre anni che hanno visto questa strabiliante crescita del ceto medio sono stati tre anni di espansione, seppure non travolgente, mentre il 2019, come sappiamo, ci riporta dalle parti della stagnazione se non della recessione. Potrebbe significare un cambio di direzione in questi numeri così confortanti oppure la forza di fondo dell’economia produttiva continuerà a stupire, magari riuscendo a migliorare la distribuzione del reddito e quindi non penalizzando il ceto medio anche in una fase di economia meno dinamica. Certamente, però, la lettura meccanica delle scelte elettorali come effetto della crisi dei redditi medi va rivista. Una utile occasione per riflettere sulle vere determinanti delle scelte elettorali.

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