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Perché la Bce "accomodante" non convince i mercati

Mariarosaria Marchesano

Secondo gli analisti, la banca centrale non avrebbe risorse sufficienti per affrontare una possibile recessione. Ma per Draghi le condizioni attuali non sono paragonabili a quelle sette anni fa, l'èra del “whatever it takes”

Milano. Sono di sostanziale delusione i primi commenti a caldo degli analisti finanziari sulle decisioni della Bce, che ha lasciato inalterati i tassi almeno fino a giugno del 2020 e fissato le condizioni per erogare alle banche nuovi prestiti a lungo termine (Tltro) rendendoli un po' meno favorevoli rispetto al passato. La Banca centrale europea, in una fase cruciale in cui si stanno decidendo i giochi per il successore di Mario Draghi, darebbe la sensazione di non avere abbastanza strumenti a disposizione per far fronte a un ciclo congiunturale sfavorevole. Nonostante, proprio Draghi, abbia assicurato che il Consiglio farà tutto quello che è in suo potere per far fronte a un ulteriore peggioramento economico, compreso un nuovo Quantitative easing e un ulteriore taglio dei tassi. Di queste ultime ipotesi si è discusso nel board, ma non sono neanche accennate nel comunicato ufficiale, rilevano alcuni osservatori.

   

Secondo Silvia D'Angelo, senior economist di Hermes investment management, il pacchetto di misure adottato dalla Bce “è inadeguato” e questo dimostra la sostanziale “inerzia” della Bce di fronte all'aumento dei rischi di un quadro economico già fragile. “E' improbabile – dice l'analista – che la situazione possa migliorare con il successore di Draghi. Le tempistiche della politica, inoltre, indicano che i progressi nella costruzione di una risposta fiscale alternativa a una possibile recessione in futuro  potrebbero essere estremamente lenti”. Una possibile obiezione a queste perplessità – che erano abbastanza diffuse sui mercati già alla vigilia del meeting della Bce – è stata fornita dallo stesso Draghi durante la conferenza stampa in cui ha precisato che le condizioni attuali non sono neanche lontanamente paragonabili a quelle sette anni fa, quando proprio lui pronunciò il famoso “whatever it takes” a Londra. "Rispetto ad allora abbiamo creato 10 milioni di posti di lavoro, abbiamo il tasso di disoccupazione più basso da anni e un tasso di occupazione molto più alto – ha detto – e inoltre sono in crescita gli stipendi nella maggior parte dei paesi. Certo dobbiamo essere pronti ad agire se le condizioni dovessero peggiorare”.

    

Secondo Goldman Sachs, l'economia dell'area euro ha raggiunto il picco alla fine del 2017 e diversi ostacoli, “tra cui il protezionismo commerciale, i problemi del budget italiano e l'incertezza della Brexit, pongono rischi al ribasso sulla nostra aspettativa che la crescita torni ad un ritmo tendenziale quest'anno”. Non è un caso, infatti, che la Bce abbia rivisto solo leggermente al rialzo le stime di crescita dell'Eurozona per quest'anno, ma abbia tagliato le previsioni per il 2020 e il 2021. Il punto, secondo la banca d'affari americana, è che, seppure i responsabili delle politiche monetarie abbiano discusso di possibili misure di allentamento in caso di “contingenze avverse”, tra cui riduzione del costo del denaro e riavvio del Qe, “non è pensabile che il successore del presidente Mario Draghi sarebbe in grado di attuare tale politica senza un sostegno più ampio”.

          

Quindi, a preoccupare i mercati sarebbe la prospettiva di un peggioramento del quadro economico che il nuovo board dell'Eurotower non avrebbe sufficiente forza per contrastare. “Complessivamente l'annuncio di oggi è stato un cambiamento 'dovish', cioè 'colomba', molto mite – dicono gli analisti di Capital economics – Con l'economia che probabilmente resterà debole e l'inflazione ben al di sotto dell'obiettivo vicino al 2 per cento che si è posto la Bce, riteniamo che sarà necessario un maggiore stimolo politico, che culminerà in un maggiore Quantitive easing nel 2020”. Spostare di sette mesi in avanti l'orizzonte di un possibile aumento dei tassi – cioè dalla fine di quest'anno, secondo l'indicazione data dalla Bce nella riunione di marzo scorso, fino almeno alla metà del prossimo anno, rappresenta comunque una mossa “accomodante” da parte di Draghi sulla scia di un indirizzo in senso espansivo espresso anche dalla Federal reserve e da altre banche centrali.

    

Secondo Annamaria Grimaldi, economista del centro studi e ricerche di Intesa Sanpaolo, “i mercati hanno reagito male alla modifica della guidance dal momento che si aspettavano un taglio dei tassi nel prossimo anno. Ma in realtà quando Draghi ha modificato la guidance dei tassi, non ha necessariamente indicato che la prossima mossa sarà un rialzo piuttosto che un taglio”. Riassumendo, dunque, ulteriori riduzioni dei tassi non sono da escludere così come la riapertura di un programma di acquisto titoli. “Le innovazioni che la Bce si è data nell'era Draghi sono permanenti e il whatever it takes resta vero anche quando Draghi non sarà più presidente”, è la conclusione dell'analista.