Annamaria Furlan (foto Imagoeconomica)

“Se vogliamo il bene dei lavoratori, abbattiamo le tasse”, dice Furlan

Valerio Valentini

Né flat tax né salario minimo. “Dannose, oltreché inutili”. La idee per la crescita del segretario della Cisl

Roma. Quello che proprio non accetta, è il ricatto morale. “Il ministro Luigi Di Maio dice che se non sosteniamo il suo salario minimo siamo contro i lavoratori? Io gli consiglierei di tenerli fuori, i lavoratori, dalla propaganda elettorale”. Annamaria Furlan preferisce partire dai dati: “Oggi, circa l’85 per cento degli occupati italiani è coperto dalla contrattazione nazionale. Vogliamo impegnarci per estendere queste tutele? Benissimo – dice il segretario generale della Cisl – però evitiamo di farlo attraverso sciocche semplificazioni sulla paga oraria”. La proposta del M5s, quella presentata dalla senatrice Nunzia Catalfo (già ideatrice del Reddito di cittadinanza), prevede di riconoscere a tutti un minimo di nove euro all’ora. “Ebbene, non tiene conto che i contratti nazionali in vigore sono già ora più convenienti: perché, al di là della retribuzione oraria, vanno computate la tredicesima e la quattordicesima, e poi i premi produttività e il welfare contrattuale, e il Tfr, e poi le ferie. Insomma, a conti fatti, siamo ben oltre i 9 euro orari. Senza contare che poi, tante imprese, di fronte a una legge che fissa così rigidamente una cifra calcolata non si sa bene su che basi, avranno la tentazione fortissima di sfilarsi dalle associazioni di imprese con cui i sindacati conducono la contrattazione e applicare in maniera assai restrittiva la legge”.

  

E allora? “Allora io dico: anziché mettere in discussione l’istituto virtuoso della contrattazione, impegniamoci tutti, senza divisioni, per elaborare nuovi contatti di riferimento che siano applicabili anche per quel 15 per cento di lavoratori che oggi non sono tutelati dalla contrattazione. Prendiamo i rider, per esempio, della cui situazione pure il ministro Di Maio sembrava inizialmente molto preoccupato. La Corte d’appello di Torino ha riconosciuto ai fattorini di Foodora il diritto a una retribuzione calcolata sulla base del contratto nazionale della logistica: possibile che la politica debba sempre arrivare a rimorchio della magistratura, anche nei casi di diritto del lavoro?”.

  

Proposte concrete? “Una su tutte, intanto: la defiscalizzazione. Abbattiamo le tasse sul lavoro, se vogliamo il bene degli occupati e delle imprese. La stessa Confindustria si è detta favorevole a investire in welfare aziendale, in cambio di una riduzione del cuneo fiscale. Tassazione zero sugli accordi di produttività per alzare i salari e far ripartire i consumi: a questo si dovrebbe puntare, nel 2019”. E però questo governo, quando parla di revisione del fisco, pensa più che altro alla flat tax: altro che cuneo fiscale. “Mi viene un brivido – dice Furlan – nel pensare a dove pensino di trovare le risorse: la prossima legge di Bilancio partirà con un buco di 40 miliardi circa, a meno che non si voglia davvero innalzare l’Iva, cosa che sarebbe disastrosa per le imprese e per le famiglie. Il 75 per cento delle imprese italiane si reggono sui consumi interni: di certo non abbiamo bisogno di una ‘tassa piatta’ che aumenti la ricchezza di coloro che già ne hanno abbastanza, ma semmai di una riforma fiscale che premi il lavoro. E che favorisca la crescita”.

 

Quella che Di Maio e Salvini vorrebbero incentivare col “decreto crescita” e con lo “sblocca cantieri”? “Quest’ultimo, stando alle bozze che ho visto, non serve a niente. Non si riducono affatto i tempi della burocrazia, e in compenso si riaprono le gare al massimo ribasso, si alza dal 30 al 50 per cento la soglia dei subappalti, si estende la possibilità di affidamenti diretti senza gara. Così non si combattono storture e lungaggini, così si riduce la sicurezza sul lavoro e si agevolano le infiltrazioni mafiose nei cantieri. Quanto al decreto crescita, Di Maio sembra avere riconosciuto alcuni degli errori commessi nella legge di Bilancio, quando soppresse strumenti utili come il superammortamento e il credito d’imposta. Ci avesse ascoltato, ci saremmo risparmiati cinque mesi di palude”.

 

E Salvini? Sulle questioni industriali pare spesso giocare il ruolo di colui che vorrebbe, ma non può. Ma davvero è tutta colpa del M5s, se l’agenda economica del governo gialloverde è quella che è? “In questo paese la competizione politica si fa spesso, purtroppo, sul meno peggio. E non mi sembra un metodo saggio. Dopodiché a Salvini vorrei ricordare che sono molti di più i nostri giovani che espatriano in cerca di un lavoro che non gli stranieri che arrivano in Italia a rubarlo, il lavoro. Vedo una grande ansia del ministro dell’Interno nel volere fermare l’invasione. Attendo il momento in cui comincerà a preoccuparsi dell’esodo”.