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“La situazione è molto grave, questo è un Def fatto solo di titoli”. Parla Bonometti

Valerio Valentini

"Ma quale superammortamento, il decreto crescita prevede meno di un miliardo per le imprese. Non si capisce più se ci sono o ci fanno". Parla il presidente di Confindustria Lombardia

Roma. Il tempo dell’ironia dura solo un attimo: “Sotto i titoli, niente”. Poi Marco Bonometti, bresciano di Rezzato, Cavaliere del lavoro e presidente di Confindustria Lombardia, si fa subito serio: “Anche questo Def, lo hanno scritto con la sola preoccupazione di potere sventolare qualche slogan. Continuano a prenderci in giro, e basta. Prendete Salvini, per esempio”. Che ha fatto il ministro dell’Interno? “Ha esultato perché, dice lui, della flat tax nel Def ‘si parla in due passaggi’. Un po’ come quelli che, davanti a un documento di molte pagine, anziché leggerlo e capirlo, si limitano a utilizzare il motore di ricerca per scoprire quante volte ricorre una certa parola. Ormai non si capisce più se ci sono o ci fanno”.

 

Non c’è, però, solo “il tradimento sulla riforma fiscale”, ad agitare Bonometti. Tra i “titoli branditi in aria a casaccio”, l’imprenditore 64enne ne cita anche un altro: “Il superammortamento: Di Maio si vanta di averlo ripristinato, e c’è pure chi gli crede”. E invece? “E invece non bastano le furbate lessicali, per dare sostegno alle imprese. Quello originario, di superammortamento, valeva oltre 4 miliardi. Quello di cui si parla nel ‘decreto crescita’ arriva malapena a uno. Dunque, di che parliamo?”. Cita dati precisi, Bonometti: quelli della legge di Bilancio del 2018, l’ultima varata dai governi del Pd. “Lì, sul 2019, venivano stanziati 416 milioni per il superammortamento. Nel 2020 diventavano addirittura 760, poi 643 nel 2021. Poi, per 2022 e 2023, 597 milioni ogni anno; 537 milioni nel 2024 e 487 nel 2025. Nel ‘decreto crescita’ su cui ora Di Maio tanto si affanna, sono previsti appena 147 milioni di euro all’anno da qui al 2025. Una buffonata. Corrono ai ripari ma non sanno dove sbattere la testa”.

 

Di Maio l’aveva rimosso, in effetti, il superammortamento: aveva deciso che il maxi sconto per le imprese che decidevano d’investire in beni strumentali nuovi. “Poi, invece, si è accorto che aveva fatto una sciocchezza – spiega Bonomentti – e per provare a riconquistare la fiducia delle imprese lo reintroduce in una forma minimale. Prima lo toglie, poi lo rimette, come se niente fosse: in un contesto dove peraltro ogni giorno cambiano una norma, questi presunti eroi della semplificazione. Se il problema era quello del marketing, perché per Lega e M5s l’unico problema è quello della propaganda, avrebbero potuto tenere in piedi Impresa 4.0 e cambiargli nome: così loro potevano rivendersi qualche nuovo slogan coi loro elettori, ma almeno non avrebbero fatto un danno alle imprese”.

 

Il sussidio è stato reintrodotto dal primo: o meglio, così recita il testo del “decreto crescita” approvato “salvo intese” dal Cdm il 4 aprile scorso, e ancora in attesa del via libera definitivo. “Il che – osserva Bonometti – significa che intanto ci siamo già bruciati quattro mesi. Quattro mesi in cui chi stava valutando l’ipotesi di acquistare nuovi macchinari, magari ha rinunciato. E forse rinuncerà anche ora, visto il clima d’incertezza e vista anche l’esiguità delle risorse stanziate. In questo tipo di politiche, la quantità è qualità: ripristinare un sussidio con un quarto dei finanziamenti iniziali significa, di fatto, farlo rinascere già mezzo morto”.

 

C’è poi, in questa riedizione in tono minore del superammortamento in salsa grilloleghista, un altro aspetto che indispettisce Bonometti. “Nel ‘decreto crescita’ si inserisce il limite dei 2,5 milioni di spesa: oltre quella soglia, lo sconto non viene concesso. Il tutto, nella tipica ottica del ‘piccolo e bello’: un principio che, condivisibile o meno in linea teorica, è assolutamente dannoso sul piano tecnico in una fase come questa. In un momento di recessione qual è quello che stiamo attraversando, è molto più difficile che siano le piccole imprese a investire nel rinnovo dei macchinari. I piccoli, in mezzo alla tempesta, devono più che altro preoccuparsi di sopravvivere. Sono i grandi che, in questi momenti, possono puntare sugli investimenti in beni strumentali per rilanciarsi. Ma allora perché il governo li taglia fuori dal superammortamento? Sarebbero proprio le imprese più strutturate a dovere fare da traino per le piccole, in questo passaggio complicato”.

 

Speranze? “Nessuna. La situazione è molto grave. Dopo che avranno finito di sperperare i miliardi stanziati per reddito di cittadinanza e quota cento, Conte, Salvini e Di Maio non sapranno più a che santo votarsi. È venuta meno la fiducia nelle persone, ormai, da parte delle imprese. E finché non cambiano le persone al governo, c’è poco da sperare”.

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