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Perché Unicredit rimette in soffitta l'idea di matrimoni in Europa

Mariarosaria Marchesano

Un’indagine di Bruxelles, gli spintoni dei fondi green e la smentita di fusioni europee nel giorno dei numeri positivi di Mustier

Milano. Due sorprese hanno rischiato di rovinare la festa a Unicredit, che ha convocato l’assemblea dei soci ieri a Piazza Affari per approvare il bilancio 2018, il migliore degli ultimi dieci anni con un utile netto di 3,85 miliardi e un dividendo di 0,27 euro per azione. La prima è arrivata dalla Consob, da poco presieduta da Paolo Savona, che mercoledì sera ha chiesto al gruppo presieduto da Fabrizio Saccomanni e guidato da Jean Pierre Mustier di diffondere una nota per comunicare di essere sotto indagine della Commissione europea per una vicenda di trading su titoli di stato in cui sono coinvolte altre sette banche (si fanno i nomi di Deutsche Bank, Royal Bank of Scotland, Credit Suisse, Crédit Agricole e Bank of America). La notizia è piombata in assemblea. “Molto rumore per nulla”, ha detto l’amministratore delegato Mustier citando Shakespeare per commentare la vicenda.

   

La Commissione europea, che aveva già annunciato l’indagine il 31 gennaio senza però fare nomi, sospetta che negli anni tra il 2007 e il 2012 si sia creato un “cartello” tra otto banche di diversi paesi, con scambi reciproci di informazioni sensibili, al fine di negoziare obbligazioni emesse in euro dai governi violando così la normativa Antitrust. Se le irregolarità venissero accertate, Unicredit potrebbe essere costretta a pagare una sanzione fino al 10 per cento dei ricavi, eventualità che, però, il gruppo ritiene “possibile, ma poco probabile” (una memoria difensiva verrà preparata entro il 29 aprile). Stessa cosa dovranno fare le altre banche coinvolte, anche se, a quanto risulta, nessun’altra è stata finora obbligata dagli organismi di Vigilanza nazionali a fare comunicazioni al mercato. Dopo il tonfo della mattina il titolo Unicredit ha recuperato chiudendo la seduta con un rialzo dello 0,5 per cento.

   

La seconda sorpresa è arrivata da alcuni fondi esteri azionisti, tra cui Schroders, Cantriam e Storebrand, che rappresentano nel complesso oltre 1.400 miliardi di dollari di investimenti. In una lettera hanno invitato l’amministratore delegato Mustier a rivelare pubblicamente come la banca intenda affrontare il rischio climatico. Si tratta di un gruppo influente di investitori istituzionali che non vogliono mettere a rischio i capitali investendo in banche prive di una strategia climatica o che favoriscono l’industria carbonifera, poiché, secondo le ultime stime del World economic forum, le perdite finanziarie legate alla mancata tutela dell’ambiente potrebbero raggiungere 43 mila miliardi di dollari nel 2100. “Unicredit ora è sotto la lente di ingrandimento”, ha commentato Sam Hayward di ShareAction, ente che punta a promuovere gli investimenti responsabili e che esercita una forte pressione sui fondi. Unicredit ha risposto di avere costituito un gruppo di lavoro per mettere a punto una policy sul carbone che sarà pubblicata entro l’anno. Al di là di quelle che potrebbero essere le considerazioni sull’opportunità di posizioni così drastiche da parte di investitori, Unicredit intende allinearsi ai maggiori competitor europei, che già hanno una policy climatica, visto che ha l’ambizione di rafforzarsi come gruppo paneuropeo. In questa prospettiva, però, non sarebbero al momento previste aggregazioni con altri gruppi, contrariamente alle voci di stampa che nelle ultime settimane hanno attribuito a Unicredit un interesse per la tedesca Commerzbank e, comunque, una predisposizione a future nozze con gruppi esteri. “L’Europa ha bisogno di banche più grandi, ma integrazioni in questo momento sono molto difficili e la possibilità di un’aggregazione cross-border è molto bassa”, ha tagliato corto Mustier. Tanto rumore per nulla.

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