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Ferrero, Lavazza, Bonomi, Fca. Altro che decrescita pauperista

Redazione

I big italiani comprano all’estero. Un modo virtuoso di esportare l’Italia

Ferrero ha comprato per 1,3 miliardi di dollari cash il ramo dolciario di Kellogg’s, la multinazionale americana delle prime colazioni. Operazione che segue l’acquisto per 2,8 miliardi dell’area dolci della Nestlé e altre che fanno degli Stati Uniti il primo mercato per il gruppo di Alba, per puntare con 11 miliardi e 32 mila dipendenti nel mondo al primato globale dei dolciumi, ora dell’americana Mars. Proprio da Mars la Lavazza ha comprato il comparto caffè, proseguendo dopo acquisizioni in Canada, Francia, Australia. Anche Andrea Bonomi, con il fondo Investindustrial, ha puntato sul dolce rilevando la spagnola Natra, leader europea del cioccolato; poi è tornato alla passione per le auto inglesi comprando la maggioranza della Morgan, le famose spider fabbricate a mano, un settore dove Bonomi aveva debuttato con il 37,5 per cento di Aston Martin. Nel frattempo è passato a Investindustrial un altro simbolo mondiale del lusso, gli idromassaggi Jacuzzi. All’elenco si può aggiungere il presidente di Fca John Elkann che cercherà alleanze per realizzare le nuove piattaforme per auto elettriche e ibride. Che cosa tiene assieme queste operazioni, oltre al fatto di essere di big italiani che comprano all’estero? La visione di crescita globale e per vie di mercato, all’opposto della decrescita autarchica e dirigista del governo gialloverde. Poi la dimostrazione che l’investimento in settori apparentemente voluttuari (i dolciumi, l’auto) genera alti margini che alimentano filiere manifatturiere. I pop-sovranisti fanno difesa pauperista dell’italianità su casi come Pernigotti e Blutec alzando barricate contro gli stranieri. Farebbero bene a farsi spiegare come si rigenerano marchi gloriosi o come si investe in aree dove tutto serve tranne i soldi pubblici. C’è un modello Salvini-Di Maio, che vuol dare a bere che il mondo finisce alle Alpi e proclama “prima l’Italia”. E poi c’è un modello di aziende che se la cavano bene e che non campano di proclami ma esportano l’Italia nel mondo.

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