Così la Cina entra al gran bazar delle obbligazioni mondiali

Mariarosaria Marchesano

Il Fmi conferma l’ingresso dei bond cinesi nell’indice Bloomberg-Barclays e il debito in yuan sarà un’alternativa per investitori

Milano. La Cina può essere anche un’opportunità se si ha in mente una strategia come quella che è alla base della decisione di inserire le obbligazioni emesse nel paese asiatico in uno dei più grandi indici di mercato mondiali, il Bloomberg-Barclays Global Aggregate, promosso dal gruppo finanziario di Michael Bloomberg e dalla banca britannica.

 

La novità è stata annunciata da un rappresentante del Fondo monetario internazionale, Alfred Schipke, il quale, in un’intervista all’agenzia ufficiale di stampa cinese Xinhua, ha detto che a partire dal mese di aprile i titoli denominati in yuan emessi dal governo di Pechino e dalle banche cinesi saranno inclusi nell’indice globale con un periodo di transizione di venti mesi diventando così la quarta componente valutaria del mercato del reddito fisso, dopo il dollaro, l’euro e lo yen giapponese.

 

Lo stesso Schipke ha definito la mossa “una pietra miliare per l’integrazione del settore finanziario cinese a livello globale”. E, in effetti, si tratta di una svolta destinata ad avere effetti non solo nel mondo degli investimenti ma anche sul piano geopolitico, considerato il fatto che d’ora in poi il debito cinese comincerà a essere esposto alle fluttuazioni di mercato. L’inclusione dei titoli nell’indice Bloomberg-Barclays porterà, infatti, a più acquisiti di obbligazioni cinesi da parte di investitori stranieri, i quali in questa fase sono a caccia di occasioni per diversificare le proprie attività e aumentare i rendimenti depressi dalle politiche monetarie espansive delle banche centrali. I dati ufficiali riportati dall’agenzia cinese dicono che nel 2018 il mercato obbligazionario del Dragone ha già fatto un balzo del 46 per cento rispetto al 2016 attestandosi a circa 8.600 miliardi di yuan (12,8 miliardi di dollari). Ma il bello deve ancora venire. Secondo una ricerca appena pubblicata dal gruppo Invesco, con sede ad Atlanta, “un terzo degli investitori obbligazionari di tutto il mondo – in particolar modo del nord America (58 per cento) – intende aumentare le allocazioni sulla Cina nei prossimi tre anni”.

 

Dunque, nonostante negli Stati Uniti non ci sia mai stata una grande inclinazione verso le emissioni del governo di Pechino, si prospetta un cambio di passo anche in presenza di tensioni commerciali. E questo non è poco per una nazione che tende prevalentemente a investire nei propri mercati obbligazionari (ossia statunitensi). Inoltre, dall’analisi Invesco emerge che oltre la metà degli operatori che si dichiara propenso a comprare titoli cinesi lo fa con un approccio di lungo termine. “Anche altri indici stanno valutando di includere obbligazioni governative e societarie cinesi o di aumentarne il peso – dice al Foglio Luca Tobagi, strategist di Invesco – Le ragioni sono legate al crescente peso economico della Cina e allo sviluppo del suo mercato obbligazionario anche spinto da un’iniziativa strategica come la Nuova via della Seta”.

 

L’altra faccia della medaglia di questa evoluzione finanziaria della Repubblica popolare è la maggiore esposizione alle fluttuazioni di mercato e ai giudizi delle agenzie di rating internazionali. Il debito cinese è in costante crescita e ormai rappresenta complessivamente il 300 per cento del prodotto interno lordo che si espande più lentamente rispetto al passato. Era prevedibile che prima o poi Pechino arrivasse promuovere le proprie emissioni presso gli investitori internazionali, ma è presto per dire se la Cina sta gettando le basi per diventare dipendente dai mercati, molto dipenderà da quanta parte del debito finirà nelle mani di operatori esteri, ma conoscendo la proverbiale cautela della dirigenza cinese è prevedibile che questo processo avvenga in modo graduale. Anche perché – come sottolinea Tobagi – ci potrebbe essere un effetto collaterale e cioè il rischio di “una riduzione significativa e brusca del peso di altre regioni nei portafogli degli investitori a causa del maggior rendimento offerto dalle obbligazioni cinesi soprattutto rispetto ai paesi occidentali”.

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