Così Di Maio è riuscito a dare coraggio all'industria degli idrocarburi

Alberto Brambilla

Gli imprenditori reagiscono contro la norma “blocca trivelle” e scendono in piazza insieme ai lavoratori

Roma. Sabato scorso alcuni imprenditori italiani e stranieri del settore petrolifero e gasiero nazionale hanno manifestato per la prima volta insieme ai lavoratori contro la norma “blocca trivelle”, promossa dal Movimento 5 stelle al governo in coalizione con la Lega, perché comporterà la perdita di investimenti miliardari e di migliaia di posti di lavoro nei prossimi anni. Finora, però, imprenditori e lavoratori non sono stati ascoltati dalle autorità politiche.

   

Con in testa i “caschi gialli”, quelli usati per sicurezza dagli operai sui siti operativi, circa duemila persone da Emilia-Romagna, Abruzzo, Basilicata, Puglia, Campania e Sicilia hanno manifestato in Piazza San Giovanni a Roma con i sindacati confederali e altre sigle. Il Foglio ha parlato con Sioux Sinnott, presidente di AleAnna del gruppo americano AleAnna Resources, Antonio Pica, consulente anche dell’inglese Delta Energy, Giampiero Saini, amministratore delegato della società petrolifera siciliana Irminio Srl, Renzo Righini della Fratelli Righini e Ermanno Bellettini della Rosetti Marino: entrambe le aziende, di Ravenna, producono macchine per l’estrazione di idrocarburi vendute nel mondo. “E’ la prima volta che vado a una manifestazione, ho fatto il liceo nel ’68 e nemmeno allora ero sceso in piazza: forse è segno che ci sono situazioni di estrema difficoltà”, dice Renzo Righini. “Il settore non lo merita, perché non ha mai creato disastri in Italia, e invece ha creato occupazione e distribuito ricchezza”. “Il rischio nella nostra regione è di non avere più lavoro”, dice Bellettini della romagnola Rosetti. Sinnott di AleAnna spiega di essere in piazza “fianco a fianco con i nostri lavoratori” per “cercare di fare business in Italia”. L’emendamento al decreto semplificazioni rischia di bloccare l’attività del settore estrattivo italiano: prevede 18 mesi di tempo per stabilire in quale aree del paese si può estrarre e in quali è vietato, fermerà subito 39 progetti di ricerca e – cambiando le regole precedenti – non concede più proroghe per lo sfruttamento dei giacimenti. L’Italia rischia di perdere investimenti almeno fino a due miliardi di euro. Il danno reputazionale è invece già prodotto perché gli investitori esteri sono guardinghi. “Anche grandi fondi di investimento si stanno allontanando dall’Italia”, dice Pica dell’inglese Delta Energy. Una situazione considerata “insopportabile” che ha convinto gli imprenditori a manifestare per difendere l’opportunità di fare affari in Italia e di sfruttare le risorse nazionali di idrocarburi in modo da non vincolarsi alle importazioni dall’estero.

   

  

   

L’attivismo degli imprenditori è una svolta nell’atteggiamento dell’industria degli idrocarburi dal punto di vista dell’approccio mediatico: per molti anni manager e capi azienda hanno taciuto i risvolti positivi del loro lavoro lasciando così correre la propaganda ecologista del movimento No Triv sostenuto dal M5s sia in campagna elettorale sia al governo. “Negli ultimi 30, 40 anni abbiamo sbagliato a non considerare importante la comunicazione”, dice Saini di Irminio. “I grandi attori non hanno mai ritenuto fondamentale fare informazione e quindi nell’opinione pubblica si è cementato solo il parere delle parti avverse. Subiamo prese di posizione, ideologia e informazioni false. Ora però stiamo cercando di reagire, comunicando fatti concreti e informazioni valide. E abbiamo il diritto di essere quantomeno ascoltati”, dice Saini.

  

      

   

Il 3 febbraio scorso a Ortona (Abruzzo) il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico del M5s, Luigi Di Maio, ai lavoratori dell’Oil&Gas che domandavano un confronto aveva risposto dicendo che sono strumentalizzati dalle multinazionali. Inoltre il ministro non ha risposto alle imprese del settore che avevano chiesto un incontro. Tuttavia, un provvedimento governativo esiziale per l’industria degli idrocarburi un effetto positivo l’ha avuto: dare coraggio agli operatori come non era mai avvenuto. E il merito va a Di Maio.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.