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Così la retorica gialloverde ha messo il Monte (di stato) fuori mercato

Mariarosaria Marchesano

Per la prima volta la Bce esprime un giudizio di merito su Mps. Una tirata di orecchie di fronte alla quale l’azionista di controllo, lo stato italiano, cerca di far finta di nulla pur essendo chiamato in causa

Milano. Da quando il Monte dei Paschi di Siena è stato nazionalizzato, un paio di anni fa, è la prima volta che la Bce esprime un giudizio di merito sull’istituto guidato da Marco Morelli, seppure attraverso una bozza di decisione (la definitiva dovrebbe essere rilasciata entro il primo trimestre 2019), che, sostanzialmente, avvia un processo di revisione e valutazione dei requisiti patrimoniali. Lunedì il titolo è crollato in Borsa (meno 10 per cento) trascinandosi dietro gli altri bancari (meno 1,70 per cento l’indice FtseBanche) sui timori dell’arrivo di un’ondata di valutazioni negative della vigilanza europea sull’intero settore.

 

Nella lettera inviata il 5 dicembre, ma di cui Mps ha dato notizia venerdì scorso, sono evidenziati essenzialmente tre punti: la (scarsa) capacità di conseguire gli obiettivi del piano di ristrutturazione; il mancato rafforzamento patrimoniale dovuto all’impossibilità di emettere l’obbligazione (Tier 2) che serve a questo scopo; la generale (scarsa) capacità di attuare con successo la propria strategia di raccolta sul mercato dei capitali.

 

Se analizziamo questi tre rilievi, vediamo che due – il primo e il terzo – sono da attribuire alle “turbolenze che si stanno verificando sui mercati italiani”, come dice la stessa Banca centrale nella missiva, mentre il secondo appare imputabile direttamente all’attuale management visto che coinvolge la gestione (per la Bce occorre migliorare la redditività, inferiore agli obiettivi del piano).

  

In ogni caso, si tratta di una tirata di orecchie di fronte alla quale l’azionista di controllo, cioè lo stato italiano attraverso il Tesoro che ha una quota del 68 per cento, cerca di far finta di nulla pur essendo chiamato in causa. Se, infatti, il Monte dei Paschi – come alcune altre banche italiane – non riesce a raccogliere risorse sul mercato dei capitali è perché questo tipo di operazioni sono troppo onerose da sostenere in presenza di uno spread che negli ultimi tre mesi del 2018 è rimasto stabilmente intorno a 300 punti base e ancora oggi è solo di poco inferiore a quel livello. L’impennata del differenziale Btp-Bund generato dall’incertezza politica in Italia ha di fatto impedito a una banca pubblica di rispettare uno dei principali impegni che aveva assunto nella fase di nazionalizzazione, cioè quello di raggiungere e mantenere nel tempo i requisiti di solidità patrimoniali previsti dalle regole europee.

  

Requisiti che, evidentemente, Mps oggi rischia di non raggiungere. II percorso che la banca ha fatto nell’ultimo anno nel tentativo di mettersi in regola è stato accidentato. Ecco come è andata. Lo scorso gennaio, l’istituto ha emesso la prima tranche del bond da 1,5 miliardi denominato finalizzato soprattutto al rafforzamento del capitale di vigilanza. L’operazione, alle condizioni di mercato di un anno fa, è andata in porto con una cedola del 5,375 per cento che la banca ha accettato di pagare agli investitori che hanno sottoscritto l’emissione. Ma non era e non è sufficiente. Dopo la prima tranche da 750 milioni occorreva collocare la seconda di pari ammontare, ma il management ha rinviato più volte l’operazione perché nel frattempo la cedola da pagare si era triplicata a quasi il 15 per cento (con 20 miliardi di Btp in pancia, Mps è forse la banca tricolore più sensibile alle oscillazioni del differenziale).

  

La situazione è analoga a quella in cui si è venuta a trovare Carige alla fine del 2018 quando il Fondo interbancario ha sottoscritto il bond convertibile da 320 milioni per il quale la banca ligure si è accollata un tasso del 16 per cento, ben più elevato rispetto a quello che avrebbe pagato qualche mese prima. Pur considerando questi fattori come esogeni, con la sua comunicazione la Bce ha voluto rimarcare l’indebolimento di Mps dettando requisiti e tempi per la revisione e la valutazione prudenziale (Supervisory review and evaluation process, Srep).

 

Tutto questo ci dice che il caro spread si è rivelato per il governo italiano un clamoroso boomerang, perché come stanno le cose, un aumento di capitale per Mps sarà probabilmente inevitabile nel 2019, cosa di cui il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti pare abbia già preso atto. La Bce ha anche sollecitato Mps a proseguire lo smaltimento degli Npl, nonostante i 30 miliardi di cui si è già liberata, fornendo raccomandazioni sulle coperture dei crediti nel medio termine. Come mai? L’indicatore che misura il peso degli attivi deteriorati in una banca rispetto al totale dei prestiti è per Mps al 16 per cento contro una media del settore inferiore al 10 per cento.

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