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Il risiko bancario gialloverde ignora le regole europee e del mercato

Mariarosaria Marchesano

Il dibattito pubblico sulla Vigilanza della Bce e sulle crisi bancarie italiane. Parlano Rainer Masera e Alberto Lupoi

Milano. “Ogni tanto bisognerebbe fare uscire dal mercato le banche che non funzionano in modo da evitare che arrechino al sistema più danni di quanti ne abbiano già fatti. Le unioni tra realtà realtà bancarie deboli non fanno la forza”: l’osservazione riferita al Foglio dal banchiere-economista Rainer Masera (già ministro del Bilancio nel governo Dini, il suo nome è circolato lo scorso ottobre come possibile sostituto di Giovanni Tria al ministero dell’Economia) sembra eccentrica nei giorni in cui il governo giallo-verde vorrebbe far partire un risiko bancario domestico nel tentativo di “accasare” Mps e trovare una soluzione alle crisi Carige e Popolare di Bari. L’ultima novità è l’ipotesi, paventata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio del M5s, Stefano Buffagni, di dare vita a un “terzo polo” che potrebbe coinvolgere anche Bper-Unipol e Ubi. Ipotesi che mostra di sottovalutare il contesto di regole europeo a cui è sottoposto il settore e di dare scarso peso alla presenza nel capitale di banche quotate di investitori istituzionali, anche esteri, i quali potrebbero non gradire di ritrovarsi in assetti che non garantiscono la redditività futura, come fa notare anche Alberto Lupoi, che insegna Diritto dei mercati finanziari all’Università di Padova.

 

Masera e Lupoi non sono gli unici a nutrire dubbi sul fatto che operazioni di puro salvataggio mascherate da fusioni possano funzionare senza provocare ulteriori distorsioni al mercato. Ma c’è anche da dire che, a differenza che negli Stati Uniti, in Europa le banche non possono fallire e che l’alternativa alle aggregazioni è rappresentato dal meccanismo di risoluzione (Brrd) che prevede l’applicazione del bail in. “Questo è un pezzo della legislazione europea che non funziona e che andrebbe cambiato”, dice Masera, “se la banca non è un semplice organismo eterodiretto dalla Vigilanza europea ma è un’impresa, allora dovrebbe potere essere chiusa quando non funziona più, impedendo il contagio di realtà sane. Né ha senso continuare a investire risorse su istituti il cui prezzo per azione è ormai vicino allo zero perché questo vuol dire che il mercato non le apprezza”, come è il caso di Carige prima che fosse sospesa dalle contrattazioni con il commissariamento della Bce a fine 2018.

 

L’equivoco di fondo nel dibattito pubblico sulle crisi bancarie, secondo Masera, sarebbe quello di confondere la tutela dei depositi, che andrebbe in qualche modo assicurata, con la protezione di aziende di credito che nella sostanza sono già fallite. “Da quello che leggo sui giornali, sul tavolo ci sono nomi che hanno distrutto 50-60 miliardi di valore. Perché gettare le basi per ulteriori danni sistemici?”, si chiede Masera. In tutto questo, la Vigilanza della Bce, che alla guida vede l’italiano Andrea Enria, non resterà a guardare senza muoversi, come si vede anche dal mancato gradimento che proprio in questi giorni ha fatto trapelare sull’ipotesi di fusione tra Commerzbank e Deutsche Bank. Secondo quanto riportato da Reuters, infatti, la Bce preferirebbe che Deutsche Bank si fondesse con una grande istituzione europea piuttosto che con la collega tedesca. E anche l’Italia ha già sperimentato, con il commissariamento di Carige, quanto l’Authority dell’Eurotower sia l’organismo con cui alla fine occorra fare i conti. “Andrebbe inoltre ricordato che l’attuale sistema di regole europee consente a uno stato di entrare nel capitale di una banca solo a tempo determinato”, spiega Lupoi, “scaduto il termine, come è previsto che accada nel caso di Mps, l’azionista pubblico dovrà vendere la propria quota sul mercato e questa avrà un valore solo se nel frattempo la banca è diventata redditizia, altrimenti nessun altro investitore metterà a rischio i suoi soldi”. Osservazione che ricorda che il ministero dell’Economia dovrà vendere entro la fine del 2021 la sua partecipazione di controllo (68 per cento) acquisita a fine 2017 e che, a oggi, registra già una vistosa minusvalenza teorica (il titolo, infatti, ha perso in Borsa quasi un quinto del suo valore da inizio anno).

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